Monday, July 14, 2014

Il terzo punto.

Man mano che gli anni passano, la nostra percezione del mondo cambia, ed il nostro sguardo si sofferma su dettagli e nuances che qualche tempo addietro ci erano invisibili. 

Dettagli che erano già lì, in bella mostra, ma che - semplicemente - non riuscivamo a vedere per mille ragioni: bollori ormonici della nostra primavera di vita, iperattività entropica giovanile, orizzonti temporali quasi infiniti e il “ma a me chemmefrega” di prammatica.

Sei giovane, il tuo corpo e la tua mente sono ancora flessibili, stimolo-reazione è solo un battito di ciglia, se sei stanco recuperi, se hai fame (e sei fortunato da poterla soddisfare) mangi, se hai sonno dormi, il futuro è un cielo di nuvole che stanno proprio lì per dimostrare quanto è grande, ogni colazione è un banchetto, ogni risata è un orgia di comicità scorretta e tagliente, ogni viaggio è un passo di Gulliver nella terra dei lillipuziani e ogni ritorno a casa equivale all’astuto percorso di Odisseo che prima di rientrare a Palazzo e far fuori i Proci prende il suo tempo per farsi trasformare in un cencioso mendicante, salutare Argo - vederlo morire dopo vent’anni di assenza -  e ricacciare in gola una lacrima, abbracciare Eumeo che oltre ad essere il suo porcaro è uno dei pochi ad essere rimasto fedele, effettuare suddetta mattanza dei principi scriteriati e finalmente abbracciare Penelope, passare una dolce notte d’amore (che dura un bel po’) ma subito ripartire per nuove ed eccitanti avventure.
Quando sei giovane, vivi una vita a bassa definizione, foriera di visioni immaginifiche. Ti perdi qualche dettaglio, ma va bene così.

Sei stagionato, sei più rigido e hai costruito - negli anni - un rimarchevole numero di sovrastrutture grazie alle tue esperienze, molte sconfitte, qualche vittoria e continui compromessi. Osservi il mondo in alta definizione (grazie anche alle lenti progressive per miopia-presbiopia-ipermetropia e stronzaggine), accumuli dettagli su dettagli che ti è difficile riusare per la proverbiale mancanza di tempo, se sei stanco provi a recuperare e 36 ore dopo hai ancora le corone di spine intorno agli adduttori, se hai fame ti senti in colpa e ti guardi la pancia, se hai sonno dormi ma ti svegli alle ore 03.12 di mattina e fai finta di non sapere perché, il futuro è qualcosa di breve (stasera, domattina, al massimo domani ora pranzo) e rientra nella piena consapevolezza dell’umana caducità, ogni colazione è uno sbrigati sbrigati sbrigati doccia barba giacca cravatta macchina carnaio GRA ufficio, ogni risata è opzionale e spesso a pagamento, ogni viaggio è meno romantico del precedente, ogni ritorno a casa non ti rechi alla reggia per sistemare i Proci, ma pensi di fermarti direttamente dal tuo coetaneo Laerte, che nel frattempo si è ritirato ed ha aperto un ristorante di buona qualità a prezzi bassi, “da Laerte, la Taverna degli Argonauti”. 
Quando sei stagionato, vivi una vita ad alta definizione, ma rimpiangi le visioni che avevi da ragazzo. Hai tanti dettagli che non puoi riusare, ma va bene così. Sei ancora vivo.

Poco prima che finisse l’anno accademico Shinseikai, l’idea che mi galleggiava in testa è iniziata a diventare un pensiero, man mano sempre più assiduo. La flessibilità. Vorrei diventare più flessibile, compatibilmente con tre osservazioni:

  • Faccio parte della categoria merceologica degli stagionati e non dei giovani
  • Ergo: ci vorrà più tempo
  • Il terzo punto: qualcosa che mi sfugge, che non riesco a mettere a fuoco

Il Karate, mi insegnano, è anche ascoltare.
Nel Karate (ed in particolare, nel Karate Shinseikai) si insegna a capire meglio il rapporto tra corpo e mente, decodificare il dialogo tra le “due stanchezze” (quella della testa e quella meccanica delle membra), ed essenzialmente ascoltare i segnali che arrivano da questo rapporto di coppia. 

Inizio a pensare al terzo punto. 
Dovremmo orientare i nostri sforzi non solo alla flessibilità dei tendini, all’apertura delle gambe o alla potenza delle braccia, ma soprattutto studiare la flessibilità della mente.
Flessibilità nel cambiare guardia, con parate sciolte, più morbide ed ugualmente reattive al contatto.
Flessibilità nel variare l’utilizzo di schemi predefiniti: il cambiamento è vita, nel Karate è ancora più vero.
Flessibilità nel tendere il corpo (allungare le membra come un arco in procinto di scoccare il dardo) e nel tendere la mente (allungare la consapevolezza nei momenti difficili, quando non hai più fiato e la testa deve prevalere su un corpo che piange per smettere).

Il terzo punto è nella mia testa, ed è quello più importante per continuare l'apprendimento del Karate. 
Non posso dire se questo percorso avrà il successo che desidero. Sono convinto, però, che senza uno sforzo doppio (mente, corpo) il sentiero sarà molto, molto più lungo.