Wednesday, September 17, 2014

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E' settembre, estate ritardata per qualche centilitro profuso in più, non ci sono più le stagioni intere, splendide e gonfie nuvole coprono opportunamente quell'enorme cosa sgargiante in cielo (dicono che sia una stella piccola, sic) che mi causa continua perspirazione rapace, pelle fiordifragola e stadio di irritazione dell'umore a 73. Il massimo è 100.

Guardo una foto immaginaria dei miei figli.

La bella Melissa sta recuperando dopo un delicato intervento neurochirurgico. Ogni tanto le scrivo qualche riga minimalista con poco senso, come quando cercavi di parlare ad una ragazza e l'emozione ti felpava gli organi vocali. La bella Melissa. Mi riguardo le tue foto di quando eri minuscola e vorrei tornare indietro per tenerti di nuovo in braccio, o forse per rincorrerti quando scappavi via.

Mirco il magro lavora senza ferie, quando lo incontro nel corridoio le nostre conversazioni sono improntate alla gioventudine di parole che pronunzio e di cui non capisco il significato, ma almeno vengono intercettate e credo elaborate con i criteri dell'odierno interloquire:  "Daje! Scialla! Presa a male! Mai 'na gioia.". Non so quel che dico, ma almeno dico qualcosa di moderno.

Alex il sinuoso, chissà a cosa pensi. Mi sono divertito un mondo a fotografarlo, come per catturare l'istante in cui il nostro sguardo si incrocia e metterlo nel salvadanaio dei ricordi. Alex, talk to me. Altrimenti sarò costretto a fare come il Buonarroti e scolpire una statua, pretendendo di farla parlare.
Il problema è che non riuscirei a scolpirti così come sei, dovrei chiamare qualche professionista della plasticità corporea.

Lara la nibelunga, come farò ad accompagnarti da qualche parte senza portare Taser, scacciamosconi, asce modello "Shining" e deterrenti vari? Farai strage di cuori, incluso il mio. Oramai stai camminando con le tue gambe, e vista la lunghezza delle stesse sei già al di fuori del mio spettro presbiopico-miopico-astigmatico-stronzo.

E' settembre, l'anno accademico Shinseikai è ricominciato, e ogni inizio d'anno sale la stessa impressione di settembre: inadeguatezza, dubbi di tenuta fisica e mentale, concentrazione viscosa, percorso in salita, allenamento estivo che sembrava sufficiente ed invece lo era con la Brassica Oleracea (cfr. Wikipedia).

Ci vediamo al Dojo.

Thursday, September 4, 2014

Quinto Canto, Quinto Anno

un repost dal 2009...


Ed al maestro mi rivolsi e parla' io,
e cominciai: "Sensei, li miei tormenti 
e le flessioni mi fanno tristo e pio


Ma dimmi: al tempo dell'inizio
a che e come concedesti coorte
che conosceste lo dubbioso prezio?"


E quello a me: "Nessuna buona sorte
cambia lo destino o 'l tuo volere
ne la miseria: e ciò ti farà forte


Ma s'a conoscer 'l primo sapere
della mia arte che imparo e insegno
dirò come colui che fa accadere.


Combatter fu per me lo sacro impegno
del guerriero che in sogno il trofeo strinse
solo ero e cercai d'esser sì degno.


Per più fiate li occhi mi sospinse
quel sogno, e scolorommi il viso
ma solo un punto fu quel che poi vinse."


Mentre che 'l maestro questo disse
rimasi fermo; si che del mio orgoglio
io venni al Dojo, così com'io vivesse.


Ed imparar a cader è quel che voglio.

Monday, July 14, 2014

Il terzo punto.

Man mano che gli anni passano, la nostra percezione del mondo cambia, ed il nostro sguardo si sofferma su dettagli e nuances che qualche tempo addietro ci erano invisibili. 

Dettagli che erano già lì, in bella mostra, ma che - semplicemente - non riuscivamo a vedere per mille ragioni: bollori ormonici della nostra primavera di vita, iperattività entropica giovanile, orizzonti temporali quasi infiniti e il “ma a me chemmefrega” di prammatica.

Sei giovane, il tuo corpo e la tua mente sono ancora flessibili, stimolo-reazione è solo un battito di ciglia, se sei stanco recuperi, se hai fame (e sei fortunato da poterla soddisfare) mangi, se hai sonno dormi, il futuro è un cielo di nuvole che stanno proprio lì per dimostrare quanto è grande, ogni colazione è un banchetto, ogni risata è un orgia di comicità scorretta e tagliente, ogni viaggio è un passo di Gulliver nella terra dei lillipuziani e ogni ritorno a casa equivale all’astuto percorso di Odisseo che prima di rientrare a Palazzo e far fuori i Proci prende il suo tempo per farsi trasformare in un cencioso mendicante, salutare Argo - vederlo morire dopo vent’anni di assenza -  e ricacciare in gola una lacrima, abbracciare Eumeo che oltre ad essere il suo porcaro è uno dei pochi ad essere rimasto fedele, effettuare suddetta mattanza dei principi scriteriati e finalmente abbracciare Penelope, passare una dolce notte d’amore (che dura un bel po’) ma subito ripartire per nuove ed eccitanti avventure.
Quando sei giovane, vivi una vita a bassa definizione, foriera di visioni immaginifiche. Ti perdi qualche dettaglio, ma va bene così.

Sei stagionato, sei più rigido e hai costruito - negli anni - un rimarchevole numero di sovrastrutture grazie alle tue esperienze, molte sconfitte, qualche vittoria e continui compromessi. Osservi il mondo in alta definizione (grazie anche alle lenti progressive per miopia-presbiopia-ipermetropia e stronzaggine), accumuli dettagli su dettagli che ti è difficile riusare per la proverbiale mancanza di tempo, se sei stanco provi a recuperare e 36 ore dopo hai ancora le corone di spine intorno agli adduttori, se hai fame ti senti in colpa e ti guardi la pancia, se hai sonno dormi ma ti svegli alle ore 03.12 di mattina e fai finta di non sapere perché, il futuro è qualcosa di breve (stasera, domattina, al massimo domani ora pranzo) e rientra nella piena consapevolezza dell’umana caducità, ogni colazione è uno sbrigati sbrigati sbrigati doccia barba giacca cravatta macchina carnaio GRA ufficio, ogni risata è opzionale e spesso a pagamento, ogni viaggio è meno romantico del precedente, ogni ritorno a casa non ti rechi alla reggia per sistemare i Proci, ma pensi di fermarti direttamente dal tuo coetaneo Laerte, che nel frattempo si è ritirato ed ha aperto un ristorante di buona qualità a prezzi bassi, “da Laerte, la Taverna degli Argonauti”. 
Quando sei stagionato, vivi una vita ad alta definizione, ma rimpiangi le visioni che avevi da ragazzo. Hai tanti dettagli che non puoi riusare, ma va bene così. Sei ancora vivo.

Poco prima che finisse l’anno accademico Shinseikai, l’idea che mi galleggiava in testa è iniziata a diventare un pensiero, man mano sempre più assiduo. La flessibilità. Vorrei diventare più flessibile, compatibilmente con tre osservazioni:

  • Faccio parte della categoria merceologica degli stagionati e non dei giovani
  • Ergo: ci vorrà più tempo
  • Il terzo punto: qualcosa che mi sfugge, che non riesco a mettere a fuoco

Il Karate, mi insegnano, è anche ascoltare.
Nel Karate (ed in particolare, nel Karate Shinseikai) si insegna a capire meglio il rapporto tra corpo e mente, decodificare il dialogo tra le “due stanchezze” (quella della testa e quella meccanica delle membra), ed essenzialmente ascoltare i segnali che arrivano da questo rapporto di coppia. 

Inizio a pensare al terzo punto. 
Dovremmo orientare i nostri sforzi non solo alla flessibilità dei tendini, all’apertura delle gambe o alla potenza delle braccia, ma soprattutto studiare la flessibilità della mente.
Flessibilità nel cambiare guardia, con parate sciolte, più morbide ed ugualmente reattive al contatto.
Flessibilità nel variare l’utilizzo di schemi predefiniti: il cambiamento è vita, nel Karate è ancora più vero.
Flessibilità nel tendere il corpo (allungare le membra come un arco in procinto di scoccare il dardo) e nel tendere la mente (allungare la consapevolezza nei momenti difficili, quando non hai più fiato e la testa deve prevalere su un corpo che piange per smettere).

Il terzo punto è nella mia testa, ed è quello più importante per continuare l'apprendimento del Karate. 
Non posso dire se questo percorso avrà il successo che desidero. Sono convinto, però, che senza uno sforzo doppio (mente, corpo) il sentiero sarà molto, molto più lungo.

Friday, May 16, 2014

Lui (un repost dal 2011)


Lui.

E' imprevedibile, Lui. 
Lo nomino al maschile, non sono sicuro del suo sesso, non credo ne abbia uno. E non credo abbia importanza. Facile dire che non ricordo esattamente quando mi sono accorto, per la prima volta, di Lui.
Credo sia stato durante i primi anni di scuola, le mie elementari in bianco-e-nero. 
Papone con la cravatta e una camicia grande quando un lenzuolo King Size, mamma con i denti in fuori, sorella-bambola a fianco, assoluta mancanza di aggeggi elettronici in casa, a parte una televisione ritardata (partiva prima il sonoro e poi - dopo minuti - le immagini) e un giradischi con chassis in legno, marca GRUNDIG, con il selettore in bachelite per i dischi da 33 - 45 - 78 giri. Quel giradischi mi ha accompagnato dai quarantaquattro gatti a Emerson, Lake & Palmer. Niente male.
Insomma, anni sessanta, verso la fine. 
Eravamo a scuola. Dovevo recitare una poesia. Scelsi il Carducci. Mi piaceva, Giosuè: "Il divino del pian silenzio verde". Sentivo - durante la lettura -  che mi si gonfiavano gli occhi come due spugne intrise nel lavello, e che rigorosamente nascondevo in clandestinità perché - cazzarola - l'uomo vero non piange (o almeno, i miei compagnucci delle elementari così dicevano, e io ci credevo).

Gabriele, vieni alla cattedra.

Ecco, toccava a me. La fila dei banchi sembrava non avesse mai fine, un regolare mosaico rigatosbiaditosempreuguale, da cui sentivo il bisbigliare dei primi chiacchericci maliziosi - l'ha chiamato - tocca a Gabriele - va alla lavagna.  
Mi girai verso la classe, e Lui si manifestò. Forse non per la prima volta, ma per la prima volta ne sentii la presenza certa. Gli occhi dei compagni di classe sembravano divertirlo ed incitarlo a far di meglio. Cosa che fece. Il mio viso diventò una variante interessante del rosso Sangria. 
Lui fece del suo meglio per farmi balbettare e rendere la mia voce insipida, incolore e monotona, ma non mi sconfisse. Andai avanti, e completai il bucolico poema con appena un po' di fiatone, ma (importante) senza la voce rotta.
Quell'evento mi segnò. Almeno un pochino. Capii molte cose, tra cui:
Dovevo assolutamente proseguire con la lettura di poesie. La voce non era un gran che, ma sentivo che la poetica mi stimolava a prendere i sette chili di Zingarelli, scorrere le parole che non conoscevo e giocare a becca la parola più buffa.
Diventavo rosso. Un effetto collaterale che lui rilasciava a comando, nelle situazioni in cui tale tinteggiatura era più indesiderata. Avrei (più tardi) scelto l'hobby del cantante rock proprio per esorcizzare questo virage, ricreando in ogni concerto la situazione della mia classe delle elementari per sconfiggere Lui e i suoi dannati trucchetti.
La cosa più importante: Lui esisteva, e ne avevo avuto la prova. Forse non l'avevo veramente sconfitto, ma il riconoscere la Sua esistenza era il primo passo per evitare le Sue trappole (parafrasando Frank Herbert).
Da quel giorno imparai - ogni volta - a combatterlo, controllarlo, addomesticarlo, a ridurre la sua influenza: ecco perché - nonostante io sia introverso e fondamentalmente riservato - non mi tiro indietro nel parlare in pubblico, nel condurre seminari e presentazioni, nel suonare musica ad alto voltaggio davanti a centinaia di persone. Significa affrontarLo al meglio per poterLo sconfiggere. E quasi sempre ci riesco.

Era qualche tempo che non mi faceva visita. Non mi ero scordato di Lui, ma forse avevo sottovalutato la Sua resilienza. 
E, durante una lezione di Karate Shinseikai, è ritornato.
Credevi fossi scomparso? Ride.
Subito dopo il comando Yoi, nella posizione di pronto per eseguire una tecnica, ho sentito la Sua presenza, e l'ho riconosciuto. E' sempre Lui.

Chi è Lui?
Una specie di morsa al cuore che rende il respiro più sottile, ed i pensieri sfocati. 
Il vapore che si deposita sul vetro della finestra, e rende il paesaggio non distinguibile proprio quando ti viene chiesto di descrivere i dettagli di quello che hai davanti. 
La smemorina del Dojo quando hai bisogno di tutti i tuoi ricordi.
Il sussulto di un errore che rende l'errore ancor più palese.

Sono alla sequenza numero cinque. La sequenza numero sette (il mio primo esame Shinseikai) è vicina, molto vicina, e Lui - forse - potrebbe pregiudicarne l'esito. Ci ho pensato su, e stavolta non cercherò di combatterlo. So che Lui sarà con me per sempre, anche durante l'esame. Tanto vale accoglierLo e proporre una pacifica convivenza. Chissà, magari mi darà una mano. Gli aprirò la porta (ciao, fratello!), gli darò un sincero abbraccio, un sorriso sornione e lo convincerò a mettersi di lato, non davanti.

Sunday, March 9, 2014

2014

E’ il 2014.

Non vedo il sole. Lui c’è, indiretto, oggi ha cercato di entrare a forza tra le ferite dei palazzi di cemento della periferia dove mi trovo ad abitare.  Una periferia che sembra ignorare l’estinzione di un governicchio che ne ha generato un’altro, tanto sono tutti uguali, tutti ladri, c’è il sole governo ladro. Una periferia che mi ricorda la distanza dal centro storico e gli stabili signorili e l'aria di chi fa finta che le periferie non esistano.

E’ il 2014, mancano cinque anni alla Los Angeles di Blade Runner e qui, in periferia, i cassonetti dell’immondizia che servono centinaia di periferiche famiglie sono rotti. Entrambi. Poverini, nessuno ha pensato al Disaster Recovery dei cassonetti. L’immondizia è un business, e ci siamo fermati al Disaster. Nella psicovisione di Dick, a quest’ora avremmo dovuto inciampare in qualche gamba di androide tra la foll(i)a, ma ci limitiamo a sbuffare quando l’imbecille in Smart, ritenendo di essere tale (smart, non imbecille), salta la fila al semaforo evitando macchine e buche contromano e riesce a sfangarla incolume. E’ un mondo ingiusto, ma lo sapevamo. Anche in periferia.

E’ il 2014, in Italia. I Miliardari Pazzi di cui quest’espressione geografica è innamorata continuano ad urlare populistici anatemi e incitamento a rivoluzioni da realtà aumentata, e le loro diocesi propagano le insane grida dei leader alla popolazione telespenta davanti alla TV che a sua volta urla oppiacee sequenze di pubblicità-gentechecucina-pubblicità-calciocalciocalcio-pubblicità-soapopera-pubblicità-filmone-pubblicità. E’ inutile convincermi che sai, ho Sky, ma ce l’ho per vedere i documentari. Prendimi in giro, ma non così. La TV del delinquente di sotto urla. Urlare è una buona tattica, equivale ad avere più ragione del tuo interlocutore. 

E’ il 2014. La TV è impraticabile. La radio, un entità aliena sconosciuta. E’ come una TV, ma senza immagini, con l’allusione e l’illusione di avere un differente target culturale. Il risultato è che ti prendono per cretino senza immagini di supporto. Almeno non ti costringe ad avere gli occhi puntati sul casalingo parallelepipedo dell’oblio. L’unico e l’ultimo brandello di civiltà è la 100.30 filodiffusione (qualsiasi cosa voglia ancora significare), classica, a tutte le ore del giorno. L’eleganza di Sibelius stride con il cafone con gli occhiali a mosca che alza il dito medio al suvvone color canna fucile per una mera questione di centimetri stradali, ma almeno ne attenua l'aberrazione visiva.  

E’ il 2014, e la TV e la radio sono polarizzate verso la densità di popolazione. Rimane la rete. Il World Wide Web, la grande promessa della libreria digitale mondiale, è diventato - in significativa parte - una rete sociale. 
Diomio, un social network
Dicono sia nato per avvicinare le persone.  Avete mai visto un gruppo di persone davanti ad un singolo terminale Facebook? Dobbiamo tenerci necessariamente in contatto attraverso Hal9000? Abbiamo permesso agli strumenti di soggiogarci, alle megachat di diventare armi per il cyberbullismo, a siti web, e quindi ad elaboratori, di trasformarsi in armi di permanente dileggio e memorizzazione di massa. Fai un errore, rimarrai marchiato nei secoli dei secoli dell’energia elettrica. In un mondo dominato dalla tecnologia, la cancellazione degli errori non è prevista. YottaBytes di cappellate a disposizione di tutti. Asimov, con il suo Complesso di Frankenstein, era un precursore: il buon dottore aveva previsto  tutti i fenomeni di assuefazione, di utilizzo distorto e di odio neo-luddista del creatore verso l’oggetto creato. Ma di robot non ne abbiamo, abbiamo solo molti deficienti organici, ed il pensiero (e la speranza) che non siano tutti così.


E’ il 2014, Marzo, ed è ora di tornare a studiare Karate. Non so come, ma ci riuscirò. In fondo, non sono un androide. O forse si.