Sunday, March 25, 2012

La Prova.

Perché mi sono svegliato alle 5.30? Che senso ha?
Non ha senso neanche rimanere a letto.
Cosa ho mangiato lo scorso anno, quando ho sostenuto l'esame?
Ricordo.
Fette biscottate, miele, té. Cerco di riprodurre il rito, magari porta bene. Mi dico però che queste cose non le faccio, la superstizione è per i mufloni alla Virgus.
Alla fine mi convinco che la combinazione dei tre alimenti è buona e leggera. Preparo il té. La casa dorme ancora. C'è silenzio, interrotto dallo sgranocchiare di tre dicasi tre fette biscottate integrali impeciate con il millefiori.
Il té stamattina ha un sapore strano, ma credo di essere io.

Preparo la borsa con Karategi, protezioni, asciugatori post-conflitto e scelleratezza.
Mi arrovello per capire come cercare la concentrazione, ed inizio a pensare alle tecniche.
Le nomino una ad una, come una litania Bene-Gesserit, e mi accorgo che così posso guadagnare attenzione. Prendo una pillola di antidolorifico, stamane la schiena sembra fatta fil di ferro molto usato. Bevo l'ultimo sorso di té rimasto, prendo le borse, saluto la casa dei dormienti e vado al Dojo.
Durante il tragitto penso a quello che probabilmente sbaglierò: i Renraku (le combinazioni) e lo Yakusoku Kumite (kumite alternato).

Cacchio, perché devi iniziare così? Se sei concentrato puoi farcela, non credi?
Non lo so, qualcosa mi dice che andrà storto.
Non fare il pirla autoctono, pensa alle tecniche, hai iniziato bene, hai la concentrazione, non credi?
Non lo so, non sarò bravo nel conservarla.
E' proprio questo che devi conquistare, la cintura è solo un segno. Stai iniziando male.
Non lo so.

Proprio nel mezzo della conversazione con me stesso vedo a terra un porcospino schiacciato dalle automobili. Il porcospino è sempre stato il mio animale preferito. Io sono un porcospino. Cerco di ripetermi che non è un segno.
Non è un segno.
Non è un segno. Tutto andrà bene fratello. Non stai andando in guerra o a morire. E' una prova. L'hai conquistata. E' una festa. Sei fortunato. Sorridi, diamine.

Si arriva al Dojo. L'atmosfera è tesa ma piacevole. Riesco anche a trovare il parcheggio. Lorenzo mi guarda e mi provoca ridendo. Luca non dice nulla, ma sorride. Poi arrivano Davide, Fred, Francesca, Tom, e tutti gli altri. Ci si cambia. Si fanno battute cameratesche negli spogliatoi, ma a bassa voce: è sempre un giorno d'esame.

Il riscaldamento è libero, abbiamo un po' di tempo per il risveglio muscolare. Rubo con gli occhi ai colleghi più anziani, mi ispiro alle mosse degli altri per effettuare alcuni esercizi che aiutano a sentire meglio il corpo.

L'esame scorre lento e veloce allo stesso tempo. Si susseguono i Kihon, i Renraku (che riesco a sbagliare -  bravo Cassandra, il Gabba), lo Yakusoku Kumite (che riesco a non eseguire correttamente, Gabbandra!) nell'arco di unità temporali che sembrano ore. E, in effetti, sono ore. L'esame è così. Aspetti per tanto tempo, e poi in due minuti devi far vedere quello che vali. Come una gara. Come la vita.

La preparazione atletica scorre via. La schiena fa male, ma l'avevo messo in conto, e non posso eseguire alcuni esercizi. Ci pensa il Sensei però a verificare l'effettivo condizionamento piantandomi una cannonata della Grande Berta in zona addominale. Assorbo, credo.

E poi, la parte divertente. La ciliegina sulla torta. La crema nel caffè. Le Grand Finale. Le prove di Kumite. I combattimenti. Il dubbio serpeggia negli occhi degli studenti. Chi sarà il mio sparring partner?
Io ho una mezza idea. La prova per la mia cintura consiste in due Kumite. A occhio, uno con il Sensei e uno con Mattia.

Sono chiamato sul Ring. Vedo Mattia che è già pronto e concentrato. E' lui per primo. Non posso sorridergli perché il paradenti e il casco mi rinchiudono in una vergine di ferro come Hannibal Lecter. E meno male. Ho sempre visto Mattia combattere sul ring. A Milano, a Roma. Stavolta però sul ring ci sono io. E' una sensazione strana. Non ho paura, però. Strano.
Il Sensei da il comando di inizio. Mattia va talmente veloce che non riesco a vederlo chiaramente, complice la stanchezza, la tensione e - prima causa - il fatto che è campione italiano di K-1 e cintura nera Shinseikai. I suoi colpi sono colpi di un maglio d'acciaio industriale, le tecniche di pugno incredibilmente forti e precise, le tecniche di calcio devastano arrivando dal nulla. Cerco di percepire l'inizio della tecnica, ma vedo solo Mattia che si prepara a colpire e contemporaneamente sento l'impatto, come se qualcuno avesse cancellato alcuni fotogrammi fondamentali. Nel mezzo del quarto d'ora percepito di Kumite, Mattia usa una tecnica di calcio (impossibile capire quale, troppo veloce) che cerco di scartare, provocando un impatto sui genitali. Respiro forte. Mattia chiede scusa, ma credo sia colpa mia. Il Sensei si avvicina, mi dice una cosa all'orecchio (che rimarrà tra me e lui), io sorrido, faccio un cenno di assenso con il caschetto e continuo. Cerco di parare e di non mollare. Il Sensei chiama la fine del primo Kumite, e si materializza al posto di Mattia. Non c'è pausa. La mia percezione del combattimento inizia a diventare confusa. Credo che il Sensei voglia capire se e quanto riesco a difendermi ed a sostenere un attacco prolungato. Sento l'incitamento dei compagni ma non riesco a capire bene quello che dicono. Non riesco neanche a sentire il comando di fine Kumite.
Scendo dalla scaletta del ring, ansimando. Vedo lo sguardo dei miei compagni di Dojo.
Hai visto Ivano? Non ho tirato neanche un Mae-Geri, gli dico con lo sguardo. Le parole non escono. Non so se ha capito. Ma non importa.

Il resto dell'esame è festa, anche nella comunicazione del voto, nelle raccomandazioni, nelle evidenze degli errori commessi. Non riesco a credere di aver superato un esame da blu. Non riesco a pensare a me stesso come una blu. Riesco solo a dirmi:

Renraku e Yakusoku Kumite, ecco cosa devo studiare, ecco il mio percorso. Quello che devo migliorare.

Wednesday, March 14, 2012

M.I. II

(Musica - Mission Impossible II dei Limp Bizkit)

La voce della segreteria automatica è suadente e ferma allo stesso tempo. Non lascia spazio a compromessi né a fantasie post-notturne. Una voce che non ha nulla di sintetico e molto di teatrale. Una voce adatta alla rappresentazione colta e postmoderna di uno spettacolo d'avanguardia.
Il messaggio è mirato, e quindi anche la voce dell'ambasciatrice risulta essere volutamente emotiva.
Quasi empatica.

Questo messaggio si autodistruggerà in 30 secondi.

Le istruzioni sono chiare, e per fortuna brevi. Mi dovrò presentare in un luogo dove sarò esaminato accuratamente. La commissione d'esame avrà il volto scoperto e mi guarderà negli occhi cercando ogni segno di possibile cedimento durante il lasso di tempo della prova.

La sessione d'esame sarà innaturalmente lunga. Le istruzioni della Voce non lasciano adito a dubbi o incertezze. Lunga nel tempo e strutturata in fasi, dove ogni pausa non è momento di recupero ma un attacco sistematico alla tua concentrazione, un trucco per distrarti, un gioco di fumo e luci e specchi per indurti all'errore.

Penso alla natura stessa dell'esame. Più grande e largo di te, ed ingegnerizzato per colpire duro dove sei più debole, quando i tuoi occhi si abbassano, quando la tua testa dondola, e quando il rumore del tuo respiro affannoso è il prezioso indicatore che il tuo avversario sfrutta senza riserve per colpire ancora ed ancora ed ancora.

Sarai tra altre persone come te, eppure da solo. E da solo dovrai uscirne. Impossibile affrontare la prova (le prove) solo con la preparazione. Impossibile affrontare la prova (le prove) solo con la fantasia e l'improvvisazione. Impossibile affrontare il tutto con una singola parte di te. Perderesti al primo imprevisto o alla prima ripetizione, e sarai messo alla prova anche su quello.

Porterò la mia cintura bianca nella borsa, come sempre. Mi ricorda chi sono. Da dove arrivo. Dove sto andando. Il colore della cintura non ti alza di un centimetro. Farò bene a ricordarmene ogni volta che apro la borsa per indossare il Karategi.

Porterò con me qualche bel ricordo. Nei momenti di difficoltà potrà essere d'aiuto.

Porterò dentro di me qualche volto. Il volto di chi mi ha voluto bene in passato. Il volto dei miei figli. Il volto di chi riesce ad accettarmi per quel che sono.

L'esame non è una equazione. Il coraggio che devi portare con te, nelle formule matematiche, è una variabile non prevedibile. E una cintura blu, ora, sembra distante proprio come questo viaggio in aereo, che mi porta da qualche parte che stanotte scorderò.

- Posted using my iSomething.

Wednesday, March 7, 2012

Conversazioni silenziose.

Le cose cambiano, e con le cose cambi anche tu, i tuoi gusti, la tua percezione e le tracce che lasci sul terreno che ti accingi a calpestare.

Le conversazioni cambiano. Si usano meno parole. Più sguardi. Di intesa, di affetto, di ironia e sarcasmo, di induzione al coraggio.
Il silenzio diventa foriero di frasi che le parole - in talune situazioni - non possono riempire.

In silenzio, immagino una conversazione.

Coordinate: Ora del Karate, giorno del Karate, luogo del Karate.

Soggetti: Io e il mio compagno di Kumite.

Lui mi guarda, io lo guardo a mia volta. Ha gli occhi azzurro beffardo.

Si parla attraverso gli occhi, mentre il corpo è occupato a respirare e recuperare da precedenti distruzioni di massa (corporea).

È più giovane di me, l'infame, e quindi recupererà prima. E lo sa.
È anche più forte e stilisticamente plasmato da molti più anni di 'Filippo Calà treatment'.

E' anche un Amico.


Occhi Suoi: facciamo insieme?
Occhi Miei: si, ok (merda).
OS: ti fa male qualcosa?
OM: mi fa male tutto, ma la schiena di più... mi fanno male anche le sopracciglia.
OS: oggi abbiamo spinto, eh?
OM: avrei bisogno di un corpo ancora in garanzia.
OS: non ti preoccupare, facciamo un Kumite sciolto.
OM: si si (ironico), sciolto una beata fava.
OS: guarda che anche tu meni.
OM: non lo so, ma a me pare proprio di no.
OS: (sorride) è Karate. Kumite.
OM: se non lo era giocavamo a Briscola, no?
OS: giusto.


La telepatia esiste, e non solo nei libri di Peter Kolosimo.

Location:Piazzale Aeroporto,Sommacampagna,Italy