Friday, November 16, 2012

Non dimenticare

  • Non dimenticare mai la tua prima cintura, quella bianca, che potresti indossare di nuovo in qualsiasi momento.
  • Non dimenticare che il Karate è una disciplina dove cuore e spirito, spesso, vengono prima della tecnica, dove - comunque - sei tenuto a migliorarti.
  • Non dimenticare che il Karate è una scuola, e come tale richiede attenzione e dedizione.
  • Non dimenticare che per raggiungere i tuoi obiettivi - oltre al duro lavoro, oltre al sudore e ai sacrifici - hai bisogno anche di curiosità e di un sorriso.
  • Non dimenticare di cambiare strategia, se necessario, a seconda di chi hai davanti. Dentro e fuori dal Dojo.
  • Non dimenticare mai le protezioni: ti serviranno nel momento in cui ti scorderai di averle indossate. Specialmente la conchiglia.
  • Non dimenticare tutte le volte che sei entrato nel Dojo con i pensieri in ombra e ne sei uscito senza.
  • Non dimenticare il rispetto. Il rispetto non finisce con il saluto, ma inizia con l'attenzione verso i particolari (la retta da pagare, l'assenza da giustificare, il contributo da fornire, l'aiuto da distribuire).
  • Non dimenticare mai, mai, mai, mai che tra il dire e il fare c'è un kakato-otoshi. Del Sensei.

Tuesday, October 9, 2012

Bonus Malus

Ispirato direttamente da un piccolo segmento in un libro di Stefano Benni (non vi dirò quale, gli aficionados lo riconosceranno subito e gli altri useranno Google), il Karate - in questo caso, lo Shinseikai Karate - è una metafora della vita, con i suoi Bonus e i suoi Malus, e noi (poveri primati)  abbiamo a disposizione un certo numero di entrambi.  Le assicurazioni per autoveicoli non fanno parte di questa metafora, o forse si, ma non importa.

Bonus
  • Un Kumite dove hai espresso tutto te stesso. Non importa sei hai vinto, importa se hai combattuto superando i tuoi limiti.
  • Un periodo critico della tua vita (o della vita altrui) che, durante il tempo passato nel Dojo, scompare per riapparire diverso, più obiettivo.
  • La consapevolezza che il proprio miglioramento proviene dalla voglia di praticare, e non da formule magiche.
  • La riduzione del proprio Ego, a favore della propria capacità di crescita.
  • Aiutare un proprio collega/compagno di studi Shinseikai in evidente difficoltà. 
Malus
  • Farsi beccare con le mani sui fianchi, o in altra postura di evidente debolezza.
  • Non accorgersi dell'errore che si sta commettendo, ovvero ripetere in maniera continuativa un comando sbagliato a testa spenta.
  • Sdraiarsi sui tappetini prima dell'enunciazione degli esercizi ad essi associati.
  • Ignorare il termine 'sciolto'. Significa, nell'accezione Shinseikai, leggero, fluido, corretto, adeguato. Se il Kumite deve essere sciolto e invece ci si mena come locomotive inizio secolo, ciò  viene considerato un punto Malus.

Quanti punti Bonus / Malus abbiamo? Difficile da dire. Sono solo quelli elencati? Certo che no. Ogni giorno è un regalo, ed ogni regalo porta con sé qualche punto buono e qualche punto meno buono di quel che pensavamo. Possiamo solo sperare di prendere e dare quei punti in grado di renderci più ricchi e consapevoli della nostra fortuna. Almeno fino al prossimo dormiveglia, poi il computo viene azzerato, e si ricomincia daccapo.


Monday, September 17, 2012

Le cose che imparerò

Un altro anno accademo è cominciato.
Immagino me stesso come un bambino di terza elementare, che affronta una disciplina molto più grande di lui, pur non avendo la stessa capacità di progressione cognitiva e di apprendimento. 
Gabbabimbo ha il grembiule blu ed il fiocco bianco, Gabbadulto è vestito pressappoco al contrario.
Gabbabimbo non parla molto, è timido e scrive. Gabbadulto non parla molto, continua ad essere riservato e ha molto meno tempo per scrivere.
Gabbabimbo vuole diventare astronauta (eh si). Gabbaadulto vorrebbe diventare un buon karateka.
Lo studio del Karate inizia dalla cintura nera, e quindi il gradiente di difficoltà dei due obiettivi è più o meno equivalente.
Vorrei scrivere una lista delle cose che ho imparato, durante questi ultimi tre anni, e mentre scorro - mentalmente - l'elenco di concetti, volti, sguardi, ricordi ed occasioni colte e perdute mi rendo conto di mezzosorridere per ogni argomento che vorrei traslare su carta (virtuale). 
Inizio a scrivere.
Le cose che ho imparato sono tante, e profonde. Mi hanno cambiato. E per questo, non sarò mai abbastanza grato al Dispensatore di Passione (il Sensei) chiedendo in cambio pochissime cose: disciplina, impegno, coraggio e continuità. 
Mi fermo.
Cancello il tutto. 
Penso alle cose che ancora devo approfondire, ed è un colpo allo stomaco. Sono tante, troppe, ancora più profonde, che promettono di lasciare segni oltremodo permanenti.
Guarda sempre avanti, dice sempre SergioPapà, la vita è breve e non c'è tempo di fermarsi a lucidare i trofei che hai conquistato. Insomma, se ti fermi a rimirar quel che hai fatto finora qualcuno ti passerà avanti e prenderà il tuo posto. Forse è vero.
Farò questo, allora: guarderò avanti e con la coda dell'occhio (ma solo un attimo, senza abbassare la guardia) mi accerterò che quello che ho imparato finora non vada perduto. Spero che SergioPapà e il Sensei approvino. 
In fondo, tre anni di Karate sono passati come un battito di colibrí, quasi tutto fosse stato un sogno, a cui non riesco ancora a credere. Dovevo durare un giorno, ho iniziato il quarto anno. E' uno strano mondo.
Ho sete. Mi alzo dalla sedia per bere un bicchier d'acqua, e le fitte alle gambe mi ricordano che invece è successo davvero. 

Saturday, July 14, 2012

Le Signore

Apro gli occhi, piano, e per una volta non ci sono rumori esterni ad interrompere la catena del sonno. Credo sia presto. Il caldo è soffocante, ed è un bestio di un solo occhio che mefiticamente alita suda sgomita e ruggisce aumentando la temperatura corporea con l'aumentare del suo respiro, un Ciclope sincrono al cicaleggiare mattutino che emana calore senza poesia.

L'aria è densa come melassa, e sembra prendere corpo, solidificarsi intorno alle gambe e soprattutto nella zona cerebrale, sussurrando frasi dolci ed improprie come 

Rimani A Letto, Gabba
Fuori E' Troppo Caldo, Gabba
Sei Sicuro Di Doverlo Fare, Gabba
Potresti Farti Male, Gabba

che continuano a scorrere come una Pubblicità Regresso per volontà indebolite. 
Io lo so. So cosa sono. Sono le dannate Sirene. Fanno parte della stessa storia del polifemico caldo, credo. Cantano con voci di miele e ambrosia e ti ingannano facendoti desiderare quello che non vuoi. Non ho cera d'api a portata di mano come Odisseo,  e non sono furbo come lui. Vediamo se riesco a sconfiggere il canto delle Sirene da solo, senza tappi per le orecchie o corrispondenti palliativi digitali.
Mi alzo. Mi giro. Le Sirene sono ancora lì.

Puoi Farlo Domani, Gabba
L'Ora E' Troppo Tarda, Gabba
Risparmia Le Forze, Gabba
Ritorna A Letto Con Noi, Gabba

Decido di ignorarle, le Signore. Vado al computer, faccio la mia playlist per la corsetta di stamattina. Compongo la prima ora. Mi dico che potrei fare di più, oggi. Aggiungo un'altra mezz'ora. Mi dico che potrei anche far di meno, oggi. Vedremo. Il mondo è bello perché è vario.
L'obiettivo della corsa è il Parchetto della Cellulosa, l'unica oasi di verde in questo ammasso di case, asfalto, zoticume vario, e padroni di cani incontinenti quanto gli stessi cani. Si. Ho deciso. Parco della Cellulosa sarà.

Checklist e vestizione:

Scarpette da sterrato
RunKeeper attivato
Playlist double and triple checked
Cappello anticollasso solare
Dito medio basculante per le Sirene 

che, vista la mia ostinazione, trasformano il loro canto zuccherino in un lungo e limaccioso lamento di lagrime. Ciao Signore care, io vado, ci vediamo al ritorno, e se non ci vediamo dipenderà da voi, spero.
Esco, e prima di iniziare al Parco faccio un breve riscaldamento, per passare poi alla fase attiva.

Chilometro 0

Inizio piano, ringraziando deità esistenti e non di aver preservato questa piccola area di verde: il profumo degli alberi e l'odore di terra battuta dal sole è un incentivo a far di meglio. I Porcupine Tree cantano Lips of Ashes e Gravity Eyelids, e mi ricordano di respirare correttamente tenendo il giusto passo.

Chilometro 2

La temperatura sembra innalzarsi, e forse non è solo una mia impressione. Il Parchetto è frequentato da persone di tutte le età che corrono, camminano, passeggiano, riflettono. qualcuno chiacchera. Continuano i Porcupine Tree con Revenant, Mellotron Scratch, Buying New Soul. In genere ascolto musica ad alto potenziale, ma oggi il segmento introspettivo è dominante, almeno per i primi chilometri.

Chilometro 4

La playlist sale un po' di volume, parte Anesthetize. Dietro di me percepisco qualcuno. Il mio istinto è di voltarmi e vedere chi è, ma resisto alla tentazione. Potrebbe essere il Sensei ritornato di soppiatto dal Canada. Sento anche un passo strano, come di zoccoli. Allargo le narici cercando di percepire eventuali suffumigi sulfurei e odore di ferro rovente. E se fosse il diavolo? Non ho preparato nessun discorso, o scuse finali di prammatica. Penso: meglio mi porti via mentre corro che in altre situazioni sconvenienti. Così come apparso, lo zoccolìo si allontana e scompare. Non era la mia ora.

Chilometro 6

La scomparsa di entità diavolesche subterrene mi fa concentrare di nuovo sul passo e sulla musica, che ora ritorna al giusto livello di adrenalina. Partono gli Opeth con una lancinante Wreath, e inizio a sentire meno caldo e fatica. La voce di Akerfeldt mi spinge ad andare avanti.

Chilometro 8

Continuano gli Opeth con Deliverance che entra come una lama nelle viscere. Vedo una piccola ombra bianca dietro di me. Immagino che sia un angelo, se ho percepito il diavolo posso ben percepire le entità  di opposta fazione. E' una farfalla, candida, le cui ali brillano al sole. Sorrido e mi sento stupido.

Chilometro 10

Mi avvicino alla conclusione della sessione, iniziano gli Staind con Price To Play e (guarda il caso) Run  Away. Vedo un anziano davanti a me che si ferma, respira, si guarda intorno, e poi ricomincia a correre. Mi piace. Se lo fa lui posso farlo anch'io. Continuo.

Chilometro 12

E' ora di tornare a casa, correndo. Affronto l'ultima - e terribile - salita che mi porta alla via di casa. Sono curioso di vedere se le Signore sono andate via o sono rimaste incollate ai piedi del letto come vedove piangenti.

Apro la porta di casa, e vado diritto dalle Sirene con una certa sicumera, pettoinfuoriepanciaindentro, sperando di poter dire loro "Avete visto, non ha funzionato!", magari con un forte e colorito accento locale.
Nisba.
Non ci sono.
Non vi preoccupate, ritorneranno ogni mattina e ogni volta ricominceranno il loro canto. E' nella natura delle cose. Così come è nella nostra natura cercare di farle sparire, con i tappi di cera o con quella cosa strana che abbiamo dentro e ci fa muovere, forse goffamente, verso un luogo dove il canto delle Sirene continua ad essere percepito, ma è troppo lontano per farci del male.

(Musica finale: "Ending Credits" degli Opeth. Ascoltatela.)

Sunday, March 25, 2012

La Prova.

Perché mi sono svegliato alle 5.30? Che senso ha?
Non ha senso neanche rimanere a letto.
Cosa ho mangiato lo scorso anno, quando ho sostenuto l'esame?
Ricordo.
Fette biscottate, miele, té. Cerco di riprodurre il rito, magari porta bene. Mi dico però che queste cose non le faccio, la superstizione è per i mufloni alla Virgus.
Alla fine mi convinco che la combinazione dei tre alimenti è buona e leggera. Preparo il té. La casa dorme ancora. C'è silenzio, interrotto dallo sgranocchiare di tre dicasi tre fette biscottate integrali impeciate con il millefiori.
Il té stamattina ha un sapore strano, ma credo di essere io.

Preparo la borsa con Karategi, protezioni, asciugatori post-conflitto e scelleratezza.
Mi arrovello per capire come cercare la concentrazione, ed inizio a pensare alle tecniche.
Le nomino una ad una, come una litania Bene-Gesserit, e mi accorgo che così posso guadagnare attenzione. Prendo una pillola di antidolorifico, stamane la schiena sembra fatta fil di ferro molto usato. Bevo l'ultimo sorso di té rimasto, prendo le borse, saluto la casa dei dormienti e vado al Dojo.
Durante il tragitto penso a quello che probabilmente sbaglierò: i Renraku (le combinazioni) e lo Yakusoku Kumite (kumite alternato).

Cacchio, perché devi iniziare così? Se sei concentrato puoi farcela, non credi?
Non lo so, qualcosa mi dice che andrà storto.
Non fare il pirla autoctono, pensa alle tecniche, hai iniziato bene, hai la concentrazione, non credi?
Non lo so, non sarò bravo nel conservarla.
E' proprio questo che devi conquistare, la cintura è solo un segno. Stai iniziando male.
Non lo so.

Proprio nel mezzo della conversazione con me stesso vedo a terra un porcospino schiacciato dalle automobili. Il porcospino è sempre stato il mio animale preferito. Io sono un porcospino. Cerco di ripetermi che non è un segno.
Non è un segno.
Non è un segno. Tutto andrà bene fratello. Non stai andando in guerra o a morire. E' una prova. L'hai conquistata. E' una festa. Sei fortunato. Sorridi, diamine.

Si arriva al Dojo. L'atmosfera è tesa ma piacevole. Riesco anche a trovare il parcheggio. Lorenzo mi guarda e mi provoca ridendo. Luca non dice nulla, ma sorride. Poi arrivano Davide, Fred, Francesca, Tom, e tutti gli altri. Ci si cambia. Si fanno battute cameratesche negli spogliatoi, ma a bassa voce: è sempre un giorno d'esame.

Il riscaldamento è libero, abbiamo un po' di tempo per il risveglio muscolare. Rubo con gli occhi ai colleghi più anziani, mi ispiro alle mosse degli altri per effettuare alcuni esercizi che aiutano a sentire meglio il corpo.

L'esame scorre lento e veloce allo stesso tempo. Si susseguono i Kihon, i Renraku (che riesco a sbagliare -  bravo Cassandra, il Gabba), lo Yakusoku Kumite (che riesco a non eseguire correttamente, Gabbandra!) nell'arco di unità temporali che sembrano ore. E, in effetti, sono ore. L'esame è così. Aspetti per tanto tempo, e poi in due minuti devi far vedere quello che vali. Come una gara. Come la vita.

La preparazione atletica scorre via. La schiena fa male, ma l'avevo messo in conto, e non posso eseguire alcuni esercizi. Ci pensa il Sensei però a verificare l'effettivo condizionamento piantandomi una cannonata della Grande Berta in zona addominale. Assorbo, credo.

E poi, la parte divertente. La ciliegina sulla torta. La crema nel caffè. Le Grand Finale. Le prove di Kumite. I combattimenti. Il dubbio serpeggia negli occhi degli studenti. Chi sarà il mio sparring partner?
Io ho una mezza idea. La prova per la mia cintura consiste in due Kumite. A occhio, uno con il Sensei e uno con Mattia.

Sono chiamato sul Ring. Vedo Mattia che è già pronto e concentrato. E' lui per primo. Non posso sorridergli perché il paradenti e il casco mi rinchiudono in una vergine di ferro come Hannibal Lecter. E meno male. Ho sempre visto Mattia combattere sul ring. A Milano, a Roma. Stavolta però sul ring ci sono io. E' una sensazione strana. Non ho paura, però. Strano.
Il Sensei da il comando di inizio. Mattia va talmente veloce che non riesco a vederlo chiaramente, complice la stanchezza, la tensione e - prima causa - il fatto che è campione italiano di K-1 e cintura nera Shinseikai. I suoi colpi sono colpi di un maglio d'acciaio industriale, le tecniche di pugno incredibilmente forti e precise, le tecniche di calcio devastano arrivando dal nulla. Cerco di percepire l'inizio della tecnica, ma vedo solo Mattia che si prepara a colpire e contemporaneamente sento l'impatto, come se qualcuno avesse cancellato alcuni fotogrammi fondamentali. Nel mezzo del quarto d'ora percepito di Kumite, Mattia usa una tecnica di calcio (impossibile capire quale, troppo veloce) che cerco di scartare, provocando un impatto sui genitali. Respiro forte. Mattia chiede scusa, ma credo sia colpa mia. Il Sensei si avvicina, mi dice una cosa all'orecchio (che rimarrà tra me e lui), io sorrido, faccio un cenno di assenso con il caschetto e continuo. Cerco di parare e di non mollare. Il Sensei chiama la fine del primo Kumite, e si materializza al posto di Mattia. Non c'è pausa. La mia percezione del combattimento inizia a diventare confusa. Credo che il Sensei voglia capire se e quanto riesco a difendermi ed a sostenere un attacco prolungato. Sento l'incitamento dei compagni ma non riesco a capire bene quello che dicono. Non riesco neanche a sentire il comando di fine Kumite.
Scendo dalla scaletta del ring, ansimando. Vedo lo sguardo dei miei compagni di Dojo.
Hai visto Ivano? Non ho tirato neanche un Mae-Geri, gli dico con lo sguardo. Le parole non escono. Non so se ha capito. Ma non importa.

Il resto dell'esame è festa, anche nella comunicazione del voto, nelle raccomandazioni, nelle evidenze degli errori commessi. Non riesco a credere di aver superato un esame da blu. Non riesco a pensare a me stesso come una blu. Riesco solo a dirmi:

Renraku e Yakusoku Kumite, ecco cosa devo studiare, ecco il mio percorso. Quello che devo migliorare.

Wednesday, March 14, 2012

M.I. II

(Musica - Mission Impossible II dei Limp Bizkit)

La voce della segreteria automatica è suadente e ferma allo stesso tempo. Non lascia spazio a compromessi né a fantasie post-notturne. Una voce che non ha nulla di sintetico e molto di teatrale. Una voce adatta alla rappresentazione colta e postmoderna di uno spettacolo d'avanguardia.
Il messaggio è mirato, e quindi anche la voce dell'ambasciatrice risulta essere volutamente emotiva.
Quasi empatica.

Questo messaggio si autodistruggerà in 30 secondi.

Le istruzioni sono chiare, e per fortuna brevi. Mi dovrò presentare in un luogo dove sarò esaminato accuratamente. La commissione d'esame avrà il volto scoperto e mi guarderà negli occhi cercando ogni segno di possibile cedimento durante il lasso di tempo della prova.

La sessione d'esame sarà innaturalmente lunga. Le istruzioni della Voce non lasciano adito a dubbi o incertezze. Lunga nel tempo e strutturata in fasi, dove ogni pausa non è momento di recupero ma un attacco sistematico alla tua concentrazione, un trucco per distrarti, un gioco di fumo e luci e specchi per indurti all'errore.

Penso alla natura stessa dell'esame. Più grande e largo di te, ed ingegnerizzato per colpire duro dove sei più debole, quando i tuoi occhi si abbassano, quando la tua testa dondola, e quando il rumore del tuo respiro affannoso è il prezioso indicatore che il tuo avversario sfrutta senza riserve per colpire ancora ed ancora ed ancora.

Sarai tra altre persone come te, eppure da solo. E da solo dovrai uscirne. Impossibile affrontare la prova (le prove) solo con la preparazione. Impossibile affrontare la prova (le prove) solo con la fantasia e l'improvvisazione. Impossibile affrontare il tutto con una singola parte di te. Perderesti al primo imprevisto o alla prima ripetizione, e sarai messo alla prova anche su quello.

Porterò la mia cintura bianca nella borsa, come sempre. Mi ricorda chi sono. Da dove arrivo. Dove sto andando. Il colore della cintura non ti alza di un centimetro. Farò bene a ricordarmene ogni volta che apro la borsa per indossare il Karategi.

Porterò con me qualche bel ricordo. Nei momenti di difficoltà potrà essere d'aiuto.

Porterò dentro di me qualche volto. Il volto di chi mi ha voluto bene in passato. Il volto dei miei figli. Il volto di chi riesce ad accettarmi per quel che sono.

L'esame non è una equazione. Il coraggio che devi portare con te, nelle formule matematiche, è una variabile non prevedibile. E una cintura blu, ora, sembra distante proprio come questo viaggio in aereo, che mi porta da qualche parte che stanotte scorderò.

- Posted using my iSomething.

Wednesday, March 7, 2012

Conversazioni silenziose.

Le cose cambiano, e con le cose cambi anche tu, i tuoi gusti, la tua percezione e le tracce che lasci sul terreno che ti accingi a calpestare.

Le conversazioni cambiano. Si usano meno parole. Più sguardi. Di intesa, di affetto, di ironia e sarcasmo, di induzione al coraggio.
Il silenzio diventa foriero di frasi che le parole - in talune situazioni - non possono riempire.

In silenzio, immagino una conversazione.

Coordinate: Ora del Karate, giorno del Karate, luogo del Karate.

Soggetti: Io e il mio compagno di Kumite.

Lui mi guarda, io lo guardo a mia volta. Ha gli occhi azzurro beffardo.

Si parla attraverso gli occhi, mentre il corpo è occupato a respirare e recuperare da precedenti distruzioni di massa (corporea).

È più giovane di me, l'infame, e quindi recupererà prima. E lo sa.
È anche più forte e stilisticamente plasmato da molti più anni di 'Filippo Calà treatment'.

E' anche un Amico.


Occhi Suoi: facciamo insieme?
Occhi Miei: si, ok (merda).
OS: ti fa male qualcosa?
OM: mi fa male tutto, ma la schiena di più... mi fanno male anche le sopracciglia.
OS: oggi abbiamo spinto, eh?
OM: avrei bisogno di un corpo ancora in garanzia.
OS: non ti preoccupare, facciamo un Kumite sciolto.
OM: si si (ironico), sciolto una beata fava.
OS: guarda che anche tu meni.
OM: non lo so, ma a me pare proprio di no.
OS: (sorride) è Karate. Kumite.
OM: se non lo era giocavamo a Briscola, no?
OS: giusto.


La telepatia esiste, e non solo nei libri di Peter Kolosimo.

Location:Piazzale Aeroporto,Sommacampagna,Italy

Tuesday, January 17, 2012

Sparaballe

Eravamo in quattro, ieri sera.

C'era Antonio Viaggione, detto Fregantò, alto unoecinquantrè in contumacia, rappresentante di cianfrusaglie elettroniche e noto specialomane (specialista cleptomane) dell'International Travelling, dei saccheggi di AutoGrill e asportazione sodomita di asciugamani-accappatoi-ciabatteinspugna-kitperilcucito-bagnoschiumashampoo dalle camere dei quadristellari alberghi visitati.

C'era Alberto Allegria IV, detto Binario, paraculo parastatale, 49 chili scarsi di umore (e alito) cattivo mantecati alla negazione della joie de vivre e sospetto catalizzatore di temporali, ruote bucate, lutti improvvisi, ritardo di treni ed aerei, gonfiamento spread, pestate di merda. Spesso associato a repentini e poco visibili sfregamenti di gonadi.

C'era Nestore Stoceppo, detto AncoraTù, addetto alle pubbliche relazioni di una ditta nazional-inutile, ego grande come il lago di Martignano e capacità intellettive che non riempiono un ditale, chiamato STM-FTM (son tut mi, fas tut mi) autopresenziante in qualsiasi accadimento di cui non viene richiesta l'opra sua (presentazioni powerpoint fumose, piantatura chiodi, disocclusione lavandini, livellamento gambe tavoli) ed umana garanzia di fallimento dello stesso.

E c'ero io, Isacco Gabbasani, detto Cannavota, ex programmatore, ex-asciutto come un grissino di Torino e correntemente afasico-balbettante, alla continua ricerca di una ex-professione ed incapace di voler bene e voler male. Miope, presbite, astigmatico e un po' stronzo.

"C-C-Che si fa, un p-pokerino?" chiesi.
"Non si può, qualcuno ha rubato le carte" accennò Binario, guardando Fregantò.
"Ho un'idea. Raccontiamo la cosa più incredibile che abbiamo fatto" suggerì AncoraTù.

Silenzio. Forse l'idea non era così peregrina, meglio che guardarci negli occhi (per me, comunque, esercizio inutile senza occhiali trifocali) o commentare le nuances dell'alito di Binario.

"Inizio io" avvertì preventivamente AncoraTù (e ti pareva). "Io ho salvato più di 400 persone su un 777 che sorvolava la Nova Scotia. Uno dei motori aveva ceduto, i piloti erano in shock da scarlattina istantanea e ho preso il comando, atterrando al JFK con destrezza di manovra. Il Sindaco di New York mi ha regalato, poi, una targa d'oro con una cerimonia formale consegnandomi anche la cittadinanza onoraria."
"N-n-non l'ho letto s-s-sui giornali" dissi io.
"Non volevo si sapesse, l'invidia è una brutta bestia" chiosò AncoraTù.

"Io, durante una trasferta a Lione, ho alloggiato all'Hotel dei Re nella Camera delle Meraviglie, e sono riuscito a fregarmi tutta la stanza, incluso: corredo, mobilio, sanitari, armadio, letto king-size, appliques e  due cameriere creole niente male" disse Fregantò.
"E come hai fatto a portar via tutta quella roba?" chiese Binario.
"Ero andato su con un camion" rispose Fregantò.

"Io ho trovato, nel mercatino del mio rione, il libro più prezioso al mondo, il libro che non può essere trovato, il libro maledetto. Il Necronomicon. L'ho scovato su una bancarella di libri di cucina e di fiabe per bambini, piccolo, nero e dannato." raccontò Binario.
"Accidenti. E che cosa ne hai fatto?" domandò AncoraTù.
"Niente. Pioveva, sono scivolato sul guano di piccione e mi è caduto in un tombino" sentenziò Binario.

Appena dopo la fine dell'enunciazione gli sguardi dei tre si posarono su di me. Stavolta li avrei fregati, ed avrei fatto un figurone da leggenda metropolitana. Iniziai con voce calma, senza ombra di balbuzie o di impedimento verbale.
"Grazie alla mia abilità di programmatore di calcolatori, sono riuscito a costruire un androide che replica esattamente le mie fattezze, la mia voce, il mio carattere ed i miei difetti, balbuzie inclusa. L'androide è talmente ben fatto e fedele che, entrato in funzione quattro anni fa, mi ha sostituito al lavoro e nella normale vita sociale. In questo momento state proprio parlando con lui, e non con il vero Cannavota, che è alle Mauritius in un villaggio all-inclusive".

Ancora silenzio.

"Non ci credo" disse Binario.
"Non è possibile" disse Fregantò.
"Boom! E' arrivato Einstein" disse AncoraTù.

Avreste dovuto vedere la loro faccia mentre, con movimenti lenti e maestosi, mi sono tolto la camicia e ho svitato il pannello centrale all'altezza del petto, mostrando ingranaggi, leve e lucine costruite pazientemente dal mio padrone.

Thursday, January 12, 2012

GAP 1263 - un sogno.

Libertà è libertà di dire che due più due fa quattro. (Winston Smith)

Non vedo il cielo dalla mia finestra, ma è come se ci fosse. Non è difficile immaginarlo, almeno per me, e forse questa è la causa dei miei problemi. Mente troppo fervida, quello che scrivevano i miei Tutori sul mio profilo personale. Trasformare la stessa linea di mattoni rossicci in una fetta di cielo riempito di nuvole è un gioco da ragazzi. Ho sognato ben altre cose, ma in un mondo dove i pensieri si trasformano in parole che qualcun altro ha scritto per te, i sogni sono un lusso, un tesoro da tenere stretto. E che gli addetti alla Sorveglianza, forse, non riescono ancora a scrutare.

Suona la sirena come ogni mattina. Da qualche tempo, ormai, il rumore stridente di acciaio contro acciaio della sveglia mi trova sempre con gli occhi aperti. La mia tuta distesa sulla sedia aspetta, e sembra un uomo piatto. Sorrido. Forse mi assomiglia. La macchia sulla manica destra mi fa l'occhiolino. La donna abbondante che usualmente serve il reparto Vestiario mi aveva spocchiosamente assicurato che sarebbe stata - come sempre - trattata a dovere, e che dovevo prestare più attenzione all'utilizzo dei beni dell'Unione. Nonostante le sue pingui rassicurazioni, ormai la macchiolina mi fa compagnia, è diventata familiare: penso che sia femmina, con capelli scuri e la saluto con il suo nome ogni mattina. Buongiorno Vera, come va?

Nel corridoio incontro due colleghi dell'Assemblaggio. LUM 0575 storce la bocca in un sorrisetto, ma capisco che è stanco. LOS 1176 mi alza le spalle e non sorride, ma capisco che ha dormito almeno un po', stanotte. Andiamo in Refettorio a far colazione, affrettando il passo, poi non si mangerà per altre 6 ore. Entriamo nell'androne, investiti dal solito odore di scodelle da lavare. In fila. Zuppa, caffè, due capsule rosse di Letracene. LOS sbuffa. LUM mi guarda, forse vuol dirmi qualcosa. Annoto mentalmente e lascio che gli occhi si abbassino sulla mia ciotola, innocui. C'è sempre qualcosa, o qualcuno, che ti guarda.

***

La via del ritorno sembra più breve, eppure costa più fatica. L'Assemblaggio ti costringe a rimanere fermo per ore, ordinando i pezzi che arrivano sui nastri e valutandoli per qualità di manifattura e funzione. Il calore dell'enorme sala alle volte è insopportabile, ed i nastri si macchiano delle gocce di sudore che stillano in continuazione. L'acqua è razionata, ed ogni goccia è un po' di vita che se ne va. LUM non mi guarda, o non riesce, o forse mi sono sbagliato. LOS ha gli occhi rossi, le occhiaie sembrano essere più marcate. Parlotta, ma non credo dica nulla. Mi auguro riesca a dormire stanotte, forse dovrebbe chiedere una dose di NeoBuspirene. L'ho preso, qualche volta. Dormi poco e senza sogni, ma almeno dormi. Arrivo nel mio Cubo. Tolgo la tuta, saluto Vera, ed in rima le dico che la vedo pallida, stasera. Non mi faccio ridere. Chiudo gli occhi. Chissà se in questo momento mi stanno osservando.

***

Il clangore della sveglia interrompe i miei pensieri. Mi giro verso la sedia nel tentativo di salutare la mia amica macchiolina, che resiste nonostante i tentativi di eliminazione. Forse anche Vera sta per andarsene. Lascio che un velo di pensiero malinconico riempia la voragine del mio stomaco e mi alzo per eseguire i piegamenti mattutini davanti alla VideoPresenza. Non so c'è qualcuno che sta scrutando, ma cerco di comportarmi come se ci sia sempre qualcuno, e forse è così. I piegamenti mi ricordano che sono prossimo ai cinquant'anni, e capisco perché la dorsale si chiama spina.

Incontro LUM insieme a FIC 0376, un rosso smilzo con vestiti che sembrano troppo grandi per lui, ed alzo il sopracciglio destro a mo' di mano che saluta, sforzandomi di sorridere. FIC mi guarda, e mentre cammina inciampa su di un'asperità del cemento e cade in terra senza un suono. Mi fermo, torno verso di lui e gli tendo una mano per farlo rialzare.
"Grazie, fratello."
"Tutto bene?"
"Credo di si."

***

Continuiamo a camminare verso l'Assemblaggio. Mentre raggiungiamo le postazioni davanti ai nastri, vedo LOS che continua a fissarmi con aria interrogativa e nello stesso momento mi accorgo di avere, nella mano destra, un piccolo foglio ripiegato. Capisco che me lo ha passato FIC mentre lo aiutavo a rialzarsi.  LOS continua a guardarmi: sono convinto che sappia del piccolo triangolino di carta nella mia mano. Inizia ad osservarla casualmente, come per avvertirmi di far presto a leggere e di sbarazzarmi del messaggio, mentre i pezzi da assemblare iniziano ad arrivare come un'onda di piena. Poco prima della PausAlimentazione, guardo il bigliettino inzuppato di acqua e lavoro e prima di nasconderlo nella tuta vi trovo scritto "non sei solo". Tocco la mia macchiolina portafortuna sperando di darle vigore. Lo stesso vigore che provo quando penso alla frase scritta in un biglietto di carta che ho dovuto nascondere. Lo stesso vigore che provo quando penso che, anche in un mondo dove sono più importanti le cose meccaniche delle cose che crescono, l'amore e l'amicizia possono ancora aver ragione della fatica e del dolore. Lo stesso vigore che provo quando penso che se Vera svanirà, potrò - forse - ricevere un altro bigliettino, che mi farà andare avanti nonostante tutto. Non sarò solo.


Tuesday, January 3, 2012

Desideri di inizio anno.

Visto che è ancora legale sognare, vorrei stilare la mia lista dei sogni - impossibili - da realizzare nell'anno che è appena iniziato.
  • Riscrivere La Villa Strangiato dei Rush in versione estesa, 44 minuti e qualche secondo, con intermezzi-cameo di altri brani progressive famosi allora ed adesso, e ricevere lodi sperticate da Neil Peart.
  • Vincere la Maratona di Roma in 2h 03m 10s, e all'arrivo fare marameo al secondo (Musyoki) scattando a ritirare il premio.
  • Leggere che il governo dello stato di Tristalia ha approntato una task force di agenti segreti da mettere alle calcagna dei SUV e dei loro padroni per capire quanto dichiarano al fisco.
  • Vedere che barboni e homeless salgono in cattedra al Parlamento, alle Università ed alle Aziende insegnando ai rispettivi responsabili che cos'è la dignità.
  • Dare forza interiore a chi ne ha bisogno, nessuno escluso.
  • Costruire e mettere in linea un sito web (svergogniamoli.com), da utilizzare a fini educativi, dedicato a chi non rispetta persone, leggi, decoro, educazione.
  • Inventare la pillola dell'orgasmo repentino e donarla a tutti i musoni giornalieri, endemici e genetici.
  • Vincere in un Kumite regolamentare (seconda serie) con il Sensei.
Per oggi può bastare, domani sognerò di più :)