Tuesday, November 2, 2010

L'uomo in nero.


Cielo nero uomo nero portami via lontano lontano da qui insieme ai miei pensieri senza punti senza virgole senza pause raffiche di colpi difficili da parare e che non posso evitare portami via non per morire ma per rinascere ogni volta ogni notte di lacrime asciutte... 

L'uomo in nero guarda la sua maschera e poi se stesso, allo specchio. Il costume nasconde la maggior parte delle cicatrici e delle ferite accumulate in anni di lotte, di battaglie a volte vinte. Ricorda benissimo il costume appena confezionato, il suo odore, le cuciture artigianali eppure resistenti, funzionali allo scopo. Ricorda ancora meglio le evoluzioni del costume, da semplice intermediario tra il suo segreto ed il mondo esterno, a vera e propria armatura adatta a continuare il suo lavoro. La parola lavoro lo fa sorridere.

Lavoro... io non ho mai lavorato. Non nel senso classico della parola. Ho imparato presto ad ingoiare l'orgoglio per nascondere l'odio, a sostituire la rabbia con un sorriso di circostanza, a ripassare mentalmente le tecniche di combattimento facendo finta di bere superalcolici. E, con gli anni, il mio fardello è sempre più pesante, come se ogni anabasi notturna restringesse il tempo a mia disposizione, e sostituisse le mie ossa con pietre scheggiate...

L'uomo in nero indugia ancora sulla maschera. La guarda come se guardasse un altra parte di sé, e non come una complicata mistura di polimeri fusa ed adattata sul proprio volto. A quest'ora della notte le ombre della caverna danzano insieme al caleidoscopio di luci che provengono dalla sala computer, senza un preciso suono. L'uomo volge la testa verso il basso, ed aspetta che l'incubo di ogni notte arrivi, puntuale, come un coltello al cuore annunciato dal giorno prima.


In fondo che cosa cerco? Cerco giustizia. E per combattere il nemico, quello che ha violentato la mia infanzia, non c'è altro modo di affrontarlo se non con le stesse paure che hanno determinato il mio secondo volto. Non c'è tempo per i sofismi, non c'è tempo per eleganti allegorie. C'è solo il tempo di aspettare la notte, e di agire.


L'uomo in nero alza le braccia per indossare la maschera. Lo specchio, ora, riflette l'oscurità perfetta. L'adrenalina batte nelle tempie come la notte, come ogni notte, come ogni battaglia. L'uomo sorride, mentre il dolore al deltoide sinistro si riaffaccia ricordandogli la lotta e la caduta della notte scorsa. Un suo errore. Dopo tanti anni c'è sempre qualcosa da imparare. E stanotte se ne ricorderà.

Attrezzi nella cintura, ok. Armatura, ok. Coperta termica, ok. Comando di emergenza, ok. Vettura, ok. E' l'ora di andare. Ho paura, ma la paura passa presto. Quello che devo fare è ben più importante della mia paura, e rimarrà dopo che la paura sarà svanita.


L'uomo in nero si accinge ad uscire. Sarà un'altra notte di quelle. Un ometto scivola silenziosamente elegante dietro di lui, aprendo la porta della caverna.
"Farà tardi, padron Bruce.".
Non è una domanda, è un gentile e rassegnato commiato.
"Si, Alfred, prepara l'infermeria e non aspettarmi.".
Bruce Wayne va a dormire, e Batman inizia la sua notte. Oscura.


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