Saturday, November 27, 2010

To sleep, perchance to dream.

Alle volte le parole non sono abbastanza. Cercherò di trovarle per descrivere il viaggio, anche se un grande scrisse "The point of a journey is not to arrive", lo scopo di un viaggio non è arrivare.


Wednesday, November 17, 2010

Giovedì

Saturday, November 13, 2010

Shinseikai Stars - Parte seconda: Un racconto.

E' un sabato mattina di metà novembre, alle volte fa freddo, alle volte fa caldo. Si chiama autunno, e le mezze stagioni ancora esistono, anche se per poco. Il Dojo è inagibile (lo stanno pulendo a fondo, succede ogni Anno Santo), ieri sera ci siamo allenati extra, e stasera ci si allenerà di nuovo. Quale migliore occasione per andare in gita, recuperare un po' di forze, scoprire luoghi caratteristici e ristorantini nascosti?
Decidiamo di partire alla ventura. Si va tra Lazio Toscana ed Umbria, non troppo lontano né troppo vicino. Il tempo è variabile, come se non si decidesse a piovere ma neanche a tirar fuori una soleggiata da squaglio e sudaccia improvvisa. Perfetto per il nostro scopo ed il nostro umore.
Ci contiamo: siamo io, Lorenzo, Massimiliano ed il Sensei. Luca è di turno in famiglia e declina l'invito. Faccio un rapido controllo delle risorse del giorno:
  • iPhone carico all'80%
  • Serbatoio pieno all'80%
  • Portafoglio con 80 Euro
  • Per la legge dell'80/20, 20% di voglia di guidare.
e quindi gli astri sono allineati, ricchezza sfrenata su quasi tutti i fronti.
Decidiamo con quale macchina andare. Quella del Sensei è troppo rossa, non va bene. Quella di Massimiliano è troppo piccola, non va bene. Quella di Lorenzo è troppo Mercedes, non va bene, e poi Lorenzo ha la cervicale ancora scossa dalle scosse del Sensei di ieri sera. Non rimane che la GabbaCar. 
Messo all'angolo, trasformo la difficoltà in un'opportunità e mi propongo come autista e chaperon, a patto di decidere per intero sulla colonna sonora del viaggio. Incautamente gli altri accettano la proposta, ma non sanno che li aspetta un'autostrada a base di Slayer, Metallica, Megadeth, Fear Factory, Motorhead, Fates Warning, Iron Maiden ed altri che farebbero impallidire il figlio cattivo del Predator di Schwarzenegger.

...

Si parte, e parte la musica.
Lorenzo inizia a raccontare aneddoti di vita dai più divertenti ai più toccanti, ed ogni volta, quando il suo accento vira verso il maremmano, si intuisce di arrivare allo Zenith del significato dell'universo. E poi quel significato viene tirato giù, sarcasticamente, come si tira giù un vestito dall'armadio, per dimostrarci che la vita va anche presa in giro.
Massimiliano parla del suo lavoro e della sua passione, di quello che sta combinando in questo periodo, della voglia di esplorare l'estero e di misurarsi con nuove esperienze, professionali ed umane.
Il Sensei parla del prossimo viaggio in Giappone, delle prove che dovrà sostenere, della preparazione psicofisica, di quello che vorrebbe vedere e di nuovo scoprire nel Sol Levante.
Io guido e ascolto. Mi piace ascoltare. Ogni tanto le conversazioni si incrociano, virano verso altro, ritornano lentamente a prima, si spostano, si scambiano, si intrecciano, si dividono e poi si ricongiungono. Si ride, si sorride, si parla. 
"Gabba, perché stai zitto?" - dice il Sensei.
"Ascolto."
Il Sensei prende l'iPhone dalla tasca, e scrive sulla sua lista nera: Gabba Ascolta.
Gli altri due ridono tra il toscano e il romano.

...

Verso le undici e mezza ci fermiamo in un autogrill per un ricambio idraulico. Si prende un caffè. Vado in cassa per pagare dopo breve e inutile colluttazione con il gruppo (perderei comunque), faccio lo scontrino, e cerco di avvicinarmi al bancone per un 3+1: tre normali e un decaffeinato. Il bancone in realtà è una fitta selva di primati già riprodotti (con prole) che sbranano brioches e svalangano cappuccini e caffè macchiati caldi su tazze fredde e viceversa. Non passerebbe neanche uno spillo. Inizio a muovere lo scontrino in aria con mosse di flamenco, cercando di attirare l'attenzione. Nulla di nulla. Si avvicina Lorenzo. 
"Beh... 'sti caffè?" - mi dice.
Io guardo la foresta di panze appoggiate al bancone e alzo le spalle.
E qui spunta il genio. Le definizioni di genio sono molteplici, e varie. La definizione che mi diverte di più è relativa al bipede che sa cogliere l'occasione e l'intuizione nello stesso istante. Lorenzo guarda prima il bancone, identifica la barista, e poi guarda Massimiliano che sta sfogliando una rivista.
"Massi, vieni un po qui, vieni."
Massimiliano si avvicina, Lorenzo bisbiglia qualcosa all'orecchio, Massimiliano si avvicina al bancone con un sorriso passepartout, dalla terza fila dice qualcosa alla barista che sorride a sua volta, annuisce, catapulta tre caffè più uno deca su un vassoio rococò con biscottini a lato, e lo porge al latore del sorriso. 17 secondi netti, contro il mio flamenco di 3 minuti e mezzo. Un caffè alla Pietro Mennea. Evito di guardarmi allo specchio quando usciamo dall'autogrill e torniamo alla macchina.

...

Sull'autostrada ci si rilassa guardando il paesaggio e le nuvole gonfie, massicce ma non minacciose, e si continua a parlare, a sognare il Giappone, a raccontar di campioni, di botte, di gaffe, di amori perduti e ritrovati, delle speculazioni internazionali di valuta (soprattutto Yen), ed il tempo - come raramente accade - ci è dietro e non davanti. Siamo quasi arrivati, mancano dieci minuti alla libagione, ed il sole decide di mostrarsi magnanimo, regalandoci anche i colori della campagna. 
Scendiamo dalla macchina, lentamente ci avviamo verso il posto prescelto al manducar di festa. Vediamo la serranda del ristorante chiusa, e sopra un cartello con scritto: "CHIUSO". Un vecchietto con la coppola, seduto su una sedia cambriana in legno massello guarda le nostre bocche spalancate e ci dice: "L'è chiuso".
Iniziamo a sospettare che non mangeremo nel posto prescelto.
Chiediamo al vecchietto il ristorante più vicino, e con un irresistibile accento ci ridireziona a dodici chilometri, cucina genuina senza alleggerimento portafoglio. Ci congeda (e congela) con una premonizione: "Badate, è sempre pieno di gente". Il sole, in quel momento, ci mostra la sua solidarietà e si nasconde dietro una nuvola grigia.
Ci rimettiamo in macchina, fiduciosi, trepidanti, un po' affamati.

...

Arriviamo al luogo indicatoci dall'avo. Un ingresso scarno al pianterreno, e sopra un'insegna: "Da Ornella". Proviamo ad entrare, il posto è pieno, sono le due passate e non di poco, e si rischia di non mangiare. Una signora corpulenta porta un tiramisù ad un tavolo, ci nota e sta per avvicinarsi. Un unico pensiero ci accomuna in telepatia: guardiamo tutti e tre Massimiliano, senza dire nulla. Lui ci guarda, e la sua faccia implora "Stavolta no...". Noi lo guardiamo, con l'espressione "Ti tocca". A mali estremi, estremi rimedi. Massimiliano, per spirito cameratesco, si adegua, e tira fuori un sorriso anabbagliante, seguito da un "C'è mica un tavolo per quattro, signora?". La signora guarda Massimiliano, sorride e risponde "Ve lo trovo io", e poi guarda noi, in sequenza. Il minuto successivo siamo al tavolo. Alle deità ed al Massimiliano volendo, si mangia. Dalla finestra il sole diventa di nuovo contento e si fa vedere.

...

Primo secondo contorno e caffè, e data la presenza del Sensei tralasciamo il dolce, stasera ci si allena. Passeggiamo per il borgo tra vicoli di sanpietrini umidi ed angoli dove il tempo non solo si è fermato, ma ha deciso di non aggredire il passato. 
Un'ora dopo, il sole s'è un po' stancato ed inizia ad allungarsi come uno sbadiglio. Bisogna tornare, le borse da Dojo sono in macchina e stasera ci si allena. Si va.
Il viaggio di ritorno è più silente, la concentrazione necessaria per l'allenamento inizia a salire pian piano e di solito il viaggio di ritorno sembra sempre più corto.
Vicino Orte una pattuglia dei Carabinieri ci ferma per un controllo. Nessuno di noi tre osa chiedere a Massimiliano un sorriso da forze dell'ordine, potrebbe uscire un risultato non atteso. 
Sbrigata la formalità del controllo documenti, si prosegue verso Roma, dove arriviamo ch'è buio e si va al baretto vicino al Dojo per un ulteriore caffè. Stavolta i caffè non sono 3+1, sono un quattro secco, la caffeina mi serve per tirare due lezioni, agonisti e post-agonisti. 
Si ripensa alla giornata passata insieme, e pian piano tutti i Senpai e gli studenti iniziano a rendere il Dojo vivo.

...

Alla fine dell'allenamento, vado da Lorenzo e Massimiliano con l'espressione "E anche questa è andata...". Loro sorridono. Si avvicina il Sensei, ci chiede perché ridiamo. Ripensavamo alla pattuglia dei Carabinieri e al sorriso mancato, rispondiamo. Sorride anche il Sensei. Dobbiamo immortalare il momento, penso. Chiamo Luca e Dario per farci fare una foto insieme, quattro mani sono meglio di due. E, uscendo dal Dojo, il nostro sorriso non si spegne, non è a comando, ma viene da dentro.

Nella foto, da sinistra a destra: Lorenzo, Massimiliano Varrese, il Sensei ed io. Un abbraccio a Lorenzo e Massimiliano per aver passato qualche ora insieme, anche se virtuale, e uno al Maestro per la sua pazienza nel leggere invenzioni semplici di uno studente complicato.




Thursday, November 11, 2010

Romanzo Shinseikai.

Nell'attesa che il romanzo Shinseikai veda la luce, il collegamicostudente Luca Mascelloni ha creato, disegnato e realizzato la copertina.



Cosa ne dite?

Wednesday, November 10, 2010

Proverbi Shinseikai

Presto e bene devono andare bene insieme, altrimenti vai al tappeto.

Chi trova un amico trova un buon sparring partner.

Chi ha tempo non si è accorto che il timer della palestra è spento.

Ne uccide più lo tsuki della spada.

Al dojo non si invecchia.

Nel dubbio fai un sabaki.

La speranza è il pane delle cinture bianche.

L'uomo propone ed il Sensei dispone.

Il karategi è come il pesce, dopo tre allenamenti puzza.

L'occhio del Sensei ingrassa il cavallo fa male.

Il kumite è bello quando dura poco.

Meglio un giorno da karateka che mille sul divano.

Chi vivrà si allenerà.

Chi fa più pugni che non vuole, o t'ha gabbato o gabbar ti vuole.

Chi non era zoppo, impara a zoppicare.
...

E voi? Ne avete altri?

Tuesday, November 2, 2010

L'uomo in nero.


Cielo nero uomo nero portami via lontano lontano da qui insieme ai miei pensieri senza punti senza virgole senza pause raffiche di colpi difficili da parare e che non posso evitare portami via non per morire ma per rinascere ogni volta ogni notte di lacrime asciutte... 

L'uomo in nero guarda la sua maschera e poi se stesso, allo specchio. Il costume nasconde la maggior parte delle cicatrici e delle ferite accumulate in anni di lotte, di battaglie a volte vinte. Ricorda benissimo il costume appena confezionato, il suo odore, le cuciture artigianali eppure resistenti, funzionali allo scopo. Ricorda ancora meglio le evoluzioni del costume, da semplice intermediario tra il suo segreto ed il mondo esterno, a vera e propria armatura adatta a continuare il suo lavoro. La parola lavoro lo fa sorridere.

Lavoro... io non ho mai lavorato. Non nel senso classico della parola. Ho imparato presto ad ingoiare l'orgoglio per nascondere l'odio, a sostituire la rabbia con un sorriso di circostanza, a ripassare mentalmente le tecniche di combattimento facendo finta di bere superalcolici. E, con gli anni, il mio fardello è sempre più pesante, come se ogni anabasi notturna restringesse il tempo a mia disposizione, e sostituisse le mie ossa con pietre scheggiate...

L'uomo in nero indugia ancora sulla maschera. La guarda come se guardasse un altra parte di sé, e non come una complicata mistura di polimeri fusa ed adattata sul proprio volto. A quest'ora della notte le ombre della caverna danzano insieme al caleidoscopio di luci che provengono dalla sala computer, senza un preciso suono. L'uomo volge la testa verso il basso, ed aspetta che l'incubo di ogni notte arrivi, puntuale, come un coltello al cuore annunciato dal giorno prima.


In fondo che cosa cerco? Cerco giustizia. E per combattere il nemico, quello che ha violentato la mia infanzia, non c'è altro modo di affrontarlo se non con le stesse paure che hanno determinato il mio secondo volto. Non c'è tempo per i sofismi, non c'è tempo per eleganti allegorie. C'è solo il tempo di aspettare la notte, e di agire.


L'uomo in nero alza le braccia per indossare la maschera. Lo specchio, ora, riflette l'oscurità perfetta. L'adrenalina batte nelle tempie come la notte, come ogni notte, come ogni battaglia. L'uomo sorride, mentre il dolore al deltoide sinistro si riaffaccia ricordandogli la lotta e la caduta della notte scorsa. Un suo errore. Dopo tanti anni c'è sempre qualcosa da imparare. E stanotte se ne ricorderà.

Attrezzi nella cintura, ok. Armatura, ok. Coperta termica, ok. Comando di emergenza, ok. Vettura, ok. E' l'ora di andare. Ho paura, ma la paura passa presto. Quello che devo fare è ben più importante della mia paura, e rimarrà dopo che la paura sarà svanita.


L'uomo in nero si accinge ad uscire. Sarà un'altra notte di quelle. Un ometto scivola silenziosamente elegante dietro di lui, aprendo la porta della caverna.
"Farà tardi, padron Bruce.".
Non è una domanda, è un gentile e rassegnato commiato.
"Si, Alfred, prepara l'infermeria e non aspettarmi.".
Bruce Wayne va a dormire, e Batman inizia la sua notte. Oscura.