Sunday, September 26, 2010

Dorando.

Fa caldo, anche se sono mille chilometri a nord.
L'estate albionica preannuncia una maratona massacrante, con il caldo - implacabile - che ti pugnala il respiro e drena le tue forze, sublimandole senza fartene accorgere.
Vedo tutti i podisti intorno a me. Il sudore è come una vernice di coppale sui nostri corpi, ed è copioso ancor prima della partenza. Vicino a me c'è un altro italiano. Si chiama Umberto. Ci ignoriamo.

...

Non si parla molto, sembra di andare in guerra. Gli sguardi di tutti sono rivolti verso i corpi degli altri, come a carpirne segrete informazioni su resistenza, durata, disciplina.
E' il 24 di Luglio, questo lo ricordo. Del 1908. Ci ho messo un po' per ricordarlo, l'inizio del nuovo secolo è bellamente passato nella soffitta dei ricordi. Ma non so assolutamente che ora sia. Il sole è molto alto, ma non è mezzogiorno. Dalle ombre degli atleti, sembrano le due del pomeriggio. C'è un castello, davanti a me, grigio, enorme, regale, un comando di nobili urlato contro il cielo.

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La tensione sale. Capisco che ci siamo. Vedo una donna in ghingheri che si avvicina a noi, scortata da quattro guardie. Parlotta con i giudici. I muscoli iniziano a stringersi, i volti si scavano, l'uomo inizia ad uscire dal corpo, per far posto all'animale.
Sento un grido. Si parte. La massa scatta. Un respiro asincrono fatto di sudore, fiato, polvere, passi pensanti. Sono in mezzo al gruppo, non riesco a vedere la testa della corsa, ma cerco di non preoccuparmi. Bisognerà risparmiare energie, la gara sarà lunga e densa.

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La mandria dei corridori rimane compatta, anche se inizio a sentire i primi respiri affannati intorno a me. Non ho modo di sapere da quanto stiamo correndo, le mie gambe dicono da circa un'ora. Ho un fazzoletto in tasca, bianco, regalato da un amico nella mia Correggio. Lo estraggo dalla tasca, e mentre corro ne faccio un copricapo calandolo sulla testa. Mi aiuterà a sopportare i raggi del sole. Che è un democratico. Ci colpisce tutti, impietosamente.

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Il gruppo si è allungato, inizio a sentire la fatica. Le gambe sono pesanti, come al termine del più lungo allenamento effettuato quest'anno. Significa che sono nei tre quarti di gara.  Credo di essere tra i primi, forse in terza o quarta posizione. Avrei voglia di bere acqua, e di chiedere informazioni su chi mi precede, ma ho troppa paura di non ripartire. Devo continuare. Forse è proprio vero quello che mi raccontava Pagliani, è meglio stare da soli quando si corre. Si risparmia fiato, si risparmiano pensieri, anche quelli costano fatica.

...

Ho capito che quello davanti a me è in crisi, e aumento il passo. Il corpo si ribella, ma non posso fare altro, devo sfruttare l'occasione. Vincere è anche cogliere il momento. Credo che manchi poco all'arrivo, devo fare presto. Spingo sulle gambe più forte, e dopo una curva con un albero che ricorda quello della mia casa riesco a scorgere il mio avversario. E' biondo, e sembra camminare zoppicando. Forse zoppico anch'io, ma riesco a passarlo. Ed è l'ultima sensazione chiara che  conservo della mia corsa. I lati del percorso diventano bui, mi accorgo di mani che indicano un ingresso molto grande. Ma il buio inghiotte l'immagine, e non vedo più nulla.

...

Qualcuno mi sostiene, e mi parla, ed io non capisco, e non potrei comunque comprendere i suoni che mi circondano. I tonfi del cuore suonano come tamburi nella mia testa, e ad ogni colpo è dolore. Continuo a camminare. Non so dove mi trovo. 
Cado. 
Buio. 
Vengo rialzato, in tempo per vomitare. 
Cado di nuovo, la terra mi riempie la bocca. E non riesco a rialzarmi.

...

Riapro gli occhi, sono in una barella. Mi dicono che sono arrivato primo, ma non ho vinto. Non sono sicuro di capire. Chiudo gli occhi, mi fanno male. Qualcuno mi sfiora un fazzoletto bagnato sulle labbra. E le poche gocce che escono sembrano la stessa vita.

...

Il mio nome è Dorando Pietri. Sono un podista. Lavoro in una pasticceria a Carpi, e mi piace correre. Sono tutti così gentili con me. Mi domando il perché. In fondo, non ho vinto, ha vinto un americano. Ma correrò di nuovo. E gliela farò vedere.


Saturday, September 18, 2010

Sei gradi di turbolenza



1 - Ogni nuvola nera ha un riflesso d'argento.

Un sabato di nuvole, e caldo di settembre che te ne accorgi solo quando ti si è già appiccicato come un bacio non voluto. Inizio la giornata con i fragorosi rumori provocati dai bipedi e da qualche primate del mio sconveniente scondominio, inaspettati e fuori tempo, soprattutto alle seimenodieci di un sabato mattina. 
Che non è un sabato normale. 
E' un sabato speciale. Un sabato in cui si condividono esperienze, insegnamenti, massime ed aforismi, sudore, qualche manata, un paio di segreti, alle volte qualche risatina collettiva. E quindi non mi arrabbio. Decido che la vita è troppo breve per prendermela con chi ha abitudini scarsamente civili, e mi godo il silenzioso respiro della mia famiglia che dorme. 
Cerco di rantolare silenziosamente verso i miei aggeggi che funzionano ad elettricità aspettandomi di  annegare nella serendipity della Rete, e poi mi blocco. 
Cambio idea.
E' ora (antelucana) di pensare ad una strategia per l'allenamento di oggi. Tra i miei due emisferi palleggia un pensiero sentito nel Dojo, e riferito dal Maestro durante una sessione dello scorso anno: "Ogni match va studiato per bene, con una strategia precisa". E, quando devo pensare, non posso completamente affidarmi a strumenti o frocerie tecnologiche in cui scorra energia elettrica. Nel mio lavoro cerco - da decenni - di utilizzare la metafora della storyboard per dare forma ai pensieri. Forse, credo, mi aiuterà anche in questo caso. Mi convinco. Prendo il foglio.

2 - Non solo non c'è alcun cucchiaio, ma il foglio di carta non è vuoto.

Caro il mio foglio riciclato, appartenevi ad un albero, ad una delle cose più belle ch'io abbia mai visto, e quindi cercherò di utilizzarti al meglio. Il tuo lato bianco mi guarda con ciclopico occhio di disprezzo, ma faccio finta di non aver visto. Non sarò in grado di scrivere il "Declino e caduta dell'impero romano" di Gibbon, ma prometto di usare la mia buona fede per tracciare segni che oggi siano in grado di aiutarmi. Ringrazio anticipatamente il foglio e mi trasformo in un plotter a grafica vettoriale.

Divido il foglio in sei sezioni. Numero le sezioni in arabica guisa, e traccio nella casella uno un punto di domanda. 
Qual è il tuo obiettivo?
Mmm. La domanda sembra facile. Prepararmi. A cosa? All'allenamento di oggi. Il Maestro si è espresso chiaramente, questo sabato si segue una delle tre K. Ed è il Kumite. Mi tornano in mente i tre concetti-fondamenta del Karate, anche inteso come disciplina formativa: Kihon (le basi), Kumite (lo sparring) ed i Kata (le forme). La K di questo sabato sarà il Kumite. Significa cervello acceso, sempre. E poi tutto il resto.
Passo alla casella numero due, e la mia mano traccia un altro punto interrogativo. I miei occhi lo guardano mentre la mente compone la domanda completa.
Come intendi perseguirlo?
Stavolta il punto gobbo rimane da solo un po' di più. Pensa, Gabba, pensa. Inizio a scrivere qualche frase: "Gestisci il riscaldamento", seguita da "Respira bene", "Usa le combinazioni", "Metti a frutto quello che stai studiando". Le combinazioni. Bene. E' un'idea. E in fase di brainstorming, le idee non vanno scartate a priori. In genere, dopo la produzione di un'idea, si lascia passare del tempo per farla sedimentare, raggrumare, consolidare affinché sia modellata e raffinata. Non ho tempo per farlo. Immerso negli onanismi mentali che oramai mi sono propri da anni, mi accorgo che il tempo è fuggito,  sono le setteetrenta e quindi debbo passare dai pensieri a forma di sbrodolature barocche a quelli simili ad un twitteraggio. Combinazioni. Come faccio?

3 - Corri, coniglio, corri.

Semplice, caro il mio stupidino. Sei talmente sommerso di acronimi e di sigle e di riferimenti a riferimenti tra falsi sorrisi e amicizie vere che hai scordato le rime. Ricordi? AABB, ABAB, ABA-BCB-CDC ... Baciata, Alternata, Incatenata. Ricordi, oppure la concitata corsa coincide con cruda condotta cerebrale? Bravo, continua con i tuoi tautogrammi, l'adorazione per Umberto Eco ed il tuo onanismo mentale congenito, poi voglio proprio vedere cosa farai sul ring. Onan il Barbaro? 
Sbuffo e mi rimetto al lavoro, anzi, al piacere. Se assegno una tecnica ad una lettera posso ricordare le combinazioni semplicemente ricordando il gruppo di lettere. Ho ancora quattro caselle da riempire. Inizio con l'assegnazione nella casella numero tre.

Mawashi Geri (G)edan, Mawashi Geri (C)hudan, Gyaku (T)suki.
GCT. Lo ricorderò. Passo alla casella quattro.
(S)anbon Tsuki, Mawashi Geri (C)hudan, (M)ae Mae Geri.
SCM. Lo ricorderò. Passo alla casella cinque, mentre penso a Bartezzaghi ed al mio odio innato verso i Sudoku.
(Y)oko Geri, Mawashi Geri (G)edan , (K)ubi Zumo Hiza Geri.
YGK. Se sarò fortunato lo ricorderò. Passo alla casella numero sei, l'ultima. Non voglio scrivere una combinazione. Voglio scrivere una cosa che non potrò cancellare dalla mia memoria. 
"Lascia l'Ego fuori dal Dojo".
Ho fatto il mio compitino, ma solo la frase nella casella numero sei mi sembra abbia un senso. Anche lontano dalle arti marziali. Piego il foglio in maniera diligente, mi preparo ad uscire. Continua ad essere nuvoloso.
Forse pioverà. 

4 - Il piegaspazio e l'inizio lezione

Piegare lo spazio (Space Folding: per chi non ha letto il ciclo di Dune, di Frank Herbert, corrisponde al viaggiare senza muoversi) dalla mia abitazione al Dojo, di Sabato mattina, mi rende leggermente euforico nonostante l'intrusione, nel piazzale antistante, di presunti Sapiens che caricano tonnellate di derrate alimentari come se il giorno dopo si trovassero catapultati nella "Strada" di Cormac McCarthy. Li ignoro, parcheggio fuori, non c'è problema. E' un sabato speciale. Ci si allena. E si è così fortunati nel farlo! 
Penso a chi non può venire e li saluto con una pacca sulla spalla, e mi aspetto di vederli il prossimo martedì. Il corridoio davanti al Dojo inizia ad animarsi. Francesco, Alessandro, Michael, il Sensei, e via via tutti gli altri. Si entra.
Vedo con piacere più Karategi di quanto mi aspettassi per una mattinata di sabato. Ciò mi rende felice. Poi vedo il Sensei che non sta indossando il Karategi, ma i pantaloncini da K-1. Ciò non mi rende felicissimo. Il Sensei finisce di indossare il vestiario da K-1, e poi indossa l'espressione da K-1. Ciò mi rende abbastanza preoccupato.
Ci si allunga nello spazio che ci è concesso, ed il segnale del Maestro arriva dopo una breve e precisa spiegazione su contenuti e finalità della lezione.
(Riscaldamento.) 
La mia temperatura interna continua a salire fino a quando il Sensei chiama la fine della sezione e annuncia l'attività principale della giornata. Sale sul ring. Iniziano i turni di sparring leggero con i miei colleghi, i miei Senpai che ogni volta mi insegnano qualcosa di nuovo. I periodi sono scanditi da quel fetentone del Timer che incarna alla perfezione la relatività einsteiniana (il tempo del Kumite è abnormalmente lungo, quello del recupero impietosamente striminzito). Passo il mio turno con Cico e la sua calma interiore,  il turno con Cesare, che mi incita alla flessibilità ed a una corretta respirazione, il turno con Irene mentre ci aggiustiamo reciprocamente la guardia e mentre il fiato inizia a mancare, e di nuovo con Cesare mentre la lucidità inizia ad evaporare. Ho perso il conto delle campanelle. Il tempo del recupero mi sembra insufficiente, mi piego più di una volta e Cesare più di una volta mi tira su incitandomi a continuare fino alla fine, a non mollare.
Arriva un'altra campanella. Ed arriva la chiamata del Sensei.
"Gabriele!"
"OSU!"


5 - "Mi contraddico? Ebbene sì, mi contraddico."

Salgo sul ring, sembra che ci sia nebbia, e cerco di scacciarla perchè sono (ancora) consapevole che in realtà è solo dentro la mia testa. Il foglietto. Dov'è il foglietto? Dannazione.
Mi rendo conto di averlo lasciato a casa. E, soprattutto, mi rendo conto di aver dimenticato tutto.

Quali erano le combinazioni? 
YGM? 
GCM? 
Perchè non le ricordo? 
...

La campanella bastarda suona gongolando e pregustando lo spettacolo, ed inizia lo sparring con il Maestro.
(Kumite leggero.)
(Ancora nebbia.)
In un determinato istante credo di sentire la voce del Sensei che mi dice "mancano pochi secondi". La campanella ha un suono triste, come se l'infame tintinnante avesse voluto suonare qualche manciata di secondi in ritardo. Il Sensei chiama la fine dello sparring, si avvicina e mi  regala un consiglio, che poi riferisce all'intero gruppo. Si passa al Mokuso, si pensa a cosa migliorare, e il Maestro ci parla, ci incoraggia, ci saluta, ci regala un appuntamento al prossimo martedì.
Cosa ho imparato oggi?
Non puoi attuare una strategia se non hai le forze per farlo. E' tuo dovere disegnarla, ma è tuo dovere arrivare lucido al momento in cui devi metterla in pratica. Senza lucidità e calma, la tua strategia è il foglio rimasto sul tavolo della cucina. E' lontana e poco utile.

6 - Payback

Tornando a casa, la mia biondona (Lara) mi saluta con un bacino e mi dice: "Papà, credo tu abbia scordato questo" lasciandomi nella mano il foglio regolarmente piegato. 
Sorrido. Ho scordato il foglietto, ma non la lezione di oggi.

Tuesday, September 14, 2010

Chiedimi la parola.

Chiedimi pure un testo che dipinga a tutto tondo
quello che sembro, quando vesto il bianco
che nasconda e tiri all'ombra quando stanco
e quando il Dojo rappresenta il mondo.


Ah, studente ch'entra baldo nel tuo Dojo
ambendo al loco della vuota mano,
e sembra pronto ad affrontar l'arcano
ma n'esce tristo, abbacchiato e mogio.


Chiedimi pure le basi che ho imparato
e combinazioni che continuerò a sbagliare
Chiedimi forza, per continuare
e per correggere quello che ho sbagliato.

Friday, September 10, 2010

Shinseikai e certezze

Studiare una disciplina dura come un'arte marziale, complessa come una partita di scacchi, intrigante come un film inedito di Hitchcock, pesante come una carbonara preparata in una certa osteria che conosco - oltre al sacrificio ed alla continuità - induce anche certezze.
Ne elencherò solo qualcuna, per amor di brevità: la lista potrebbe essere lunga quanto l'elenco degli evasori fiscali residenti e strombazzanti in Tristalia.


La scrittura del Post.
Scrivere un Post sul blog Shinseikai comporta l'attraversamento (in maniera scientificamente ripetibile) delle fasi seguenti:
  • Illuminazione su idea riguardante struttura, forma e contenuti
  • Panico di fronte alla pagina di testo vuota
  • Scrittura dei primi due paragrafi
  • Cancellazione intera del temporaneo elaborato
  • Cambio repentino idea
  • Scrittura titolo (tanto lo cambio)
  • Trance agonistica e scrittura dei contenuti
  • Rilettura del testo e trasformazione dell'espressione facciale in "inadeguatezza"
  • Cambio titolo (hai visto, l'ho cambiato)
  • Invio post al pubblico ludibrio
Una volta pubblicato, il post non viene riletto, ma rimbalza nella testa dell'ideatore fino a spegnere la propria energia cinetica nel debito d'ossigeno del prossimo allenamento. Dopodiché, pronti a ricominciare l'ardir perenne della singolar tenzone tra il confezionatore di parole ed il fotonico foglio bianco.

Il pugno di Irene.
Certezza recente, sviluppata nella calura estiva, ma ha già sapore di ricorrenza. Due amici che si incontrano hanno infinite opzioni: l'abbraccio, il bacio casto, il cenno di intesa, la pacca sulla spalla o su altri apparati più o meno intimi, l'occhietto, il battimano, l'OSU!, il paso-doble e potrei continuare per un po'. Io  e Irene ci meniamo con combinazioni di Oi-Tsuki e/o Yaku-Tsuki. Penso che continuerà per un po', o almeno fino a che uno dei due dichiara un armistizio.

Ad Arduino, l'inchino.
Attesa in un angolo del Dojo mentre gli agonisti tirano fuori corpo, anima, pezzi di polmone e prossemiche manate. Rumore nel corridoio, monete infilate nella macchinetta sganciabibite: dico tra me e me, questo è Arduino. 
Mi giro. 
E' lui. Accenna ad un sorriso lato destro, ci salutiamo alla giapponese (con l'inchino, appunto), ed appoggia su un lato del ring la sua mistura cangiante di acqua, sali minerali, e sostanze comprate dal dispensatore di vitamine liquide. Visto che Messer Arduino è al terzo anno di Dojo - e frequentato con successo - la prossima volta gli chiederò di condividere la sua pozione magica, o almeno di darmene una scodella come Asterix.

Filippo e il Sensei.
Sono la stessa persona, ma due persone diverse. Alle volte li incontro tutti e due al lavoro, ma preferisco tenerli separati. Mi è anche capitato di incontrare Filippo, nel Dojo, soprattutto prima delle 19.30, in orario estivo. Un'apparizione breve, un battito di ciglia, e poi ho guardato bene: era il Sensei. Filippo mi parla, il Sensei invece appunta quello che dico, quello che faccio e i conseguenti errori su una lista gelosamente conservata a futura memoria di mazzate centralizzate e distribuite da erogare con modalità note solo a lui. 
Un giorno di questo prendo questa lista e la faccio vedere a Filippo, sono curioso di sapere cosa ne pensa.

Ivano e il clima post-bellico.
Ogni concentrazione di uomini dislocati in uno spogliatoio, al termine di qualsivoglia attività fisica, provoca la produzione e la condivisione delle note "corbellerie da spogliatoio", oramai divenute figure giuridiche civili e penali. Nell'ambiente Shinseikai, la diffusione è rigidamente controllata e gestita dal gruppo di studenti. Un ruolo particolare  è coperto da Ivano, che crea, alimenta, fantasizza e smista storie Shinseikai universalmente riconosciute come uniche. Le sentenze di Ivano sono soggette a copyright internazionale sui diritti di autore, ed allo status "Indicazione Geografica Tipica". La sua frase "Ecco, io la penso così, poi..." è stata personalmente valutata per l'inserimento nella Library of Congress statunitense.

Dario e la conta contatti.
Una volta finito l'allenamento si va a casa. Ci si spoglia. Si cerca di mangiar qualcosa prima di crollare sul ronfatoio. E poco prima di chiudere gli occhi per il meritato riposo, lo sguardo si posa su tre o quattro lividi da contatto, e si pensa "Questi lividi... mmmh... questo è colpa di quello @#@¥~* di Dario", che è stato tuo partner nell'esecuzione delle tecniche apprese durante la lezione. La condizione è assolutamente speculare per Dario, che conta i suoi. La conta segreta non viene mai comunicata, e non si hanno notizie certe su chi sia in vantaggio.

La lista potrebbe continuare all'infinito. E forse lo farà.