Friday, January 22, 2010

Enter, Sandman

Il tragitto dall'area Lavoro all'area Shinseikai è corto e denso, immerso in pensieri in bilico tra decompressione e persistenza. In quei pochi minuti rivedo la lezione precedente come se fosse di anni fa, sfocata, con qualche punto saliente particolarmente nitido, e immagino di vedere la lezione come sarà, come vorrei che sia, come potrebbe essere tra qualche anno, sfocata, con qualche punto saliente particolarmente nitido.
Le luci altalenanti e insensate del parcheggio nascondono e poi mostrano la ressa di scatole metalliche su ruote che si sfidano per una singola posizione, una sfida alle leggi della balistica che è costantemente ed inesorabilmente rinnovata, senza che io possa far nulla.
La pazienza vince, qualcuno se va, qualcuno arriva, qualcuno continua ad aspettare. Trovo il mio posto.
Esito, prima di uscire ed avviarmi verso il luogo che ancora continua ad essere l'oggetto dei desideri inespressi. Ripenso alla giornata lavorativa trascorsa, e soprattutto rivedo i volti delle persone che amo, legate a suoni, impressioni, ricordi, rimpianti, speranze, dubbi, vita. Sono in anticipo. Continuo ad essere in anticipo. Non mi causa fastidio, spero non causi fastidio ad altri. La borsa mi accompagna dall'automobile all'entrata del Dojo, e nel cammino intravedo un tratto di palestra, già animata, come la copertina di un libro che non riesco a decifrare.
Entro.
L'odore è acre, di fatica, dedizione, movimento, sudore, ripetizione.
Le luci sono ferme. Fredde. Il neon veste di freddo qualsiasi colore, appiattisce la prospettiva, ti comunica che tra poco sarà il tuo turno, esalta la solidità del ring e di chi si avvicina all'anello di combattimento come gli uomini-scimmia di 2001, con paura, curiosità e nuove scoperte.
Entro nello spogliatoio, cerco il mio posto, non trovandolo, e ricordo che la pazienza vince sempre. Gli agonisti che saluto scivolano via veloci, pronti per iniziare, e l'anticipo già accumulato mi consente la vestizione al ritmo di pensieri più scanditi. Trovo il mio posto, prendo il karategi, guardo il simbolo Shinseikai e - come ogni volta - mi interrogo sulla possibilità di indossarlo con profitto e onore.
Mentre giro la mia obi l'unisono degli atleti che eseguono movimenti ed esercizi rende il Dojo sincrono, spingendo lontano il caos e l'inutile rumore della modernità che attanaglia le mura del Dojo.
I partecipanti al secondo turno iniziano ad arrivare, ed a rubare con gli occhi le movenze degli agonisti, le loro lotte, le loro passioni. La soglia dell'attenzione cresce, il tempo inizia a scorrere più veloce. Lo spazio antistante al luogo dell'allenamento si colora di lampi bianchi, una coreografia di gambe, braccia e movimenti. Il saluto al Sensei e ai colleghi marca la fine della sessione degli agonisti, e l'inizio della mia.
L'uomo della sabbia, il sandman dei racconti nordici, distribuisce la polvere magica che fa addormentare il bambino, e, nel mio caso, fa risvegliare l'uomo.
L'allenamento ha inizio. Enter, sandman.

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