Thursday, December 31, 2009

Mosubi dachi!

Ad ogni lezione, agonistica, passionale, subìta o sperata, corrisponde un momento di verifica e di introspezione. Non mi riferisco solo alle lezioni Shinseikai a cui ho avuto l'onore di assistere negli ultimi quattro mesi di questo 2009, ma alle lezioni che quotidianamente la vita riesce a propinarci in maniera smaccatamente palese o subdolamente, camuffate da eventi che sembrano rientrare nella consuetudine e che invece contribuiscono al cambiamento.

Nella disciplina Shinseikai, l'obbligatorietà dell'introspezione è un insegnamento che guadagna significato al passo dell'esperienza maturata nel corso del tempo. Ricordo bene che durante le prime lezioni trovare delle aree di miglioramento era molto difficile.
La metafora più vicina è rappresentata dalla persona che accende una candela accorgendosi di essere stata al buio: alla richiesta di valutare la potenza della candela, in Lumen, passando dallo zero, corrisponde imbarazzo e curiosità.
Pian piano, con gli allenamenti, questa pratica acquista senso, e diventa parte integrante del proprio percorso formativo. Gli studenti si mettono in file distinte, esperti e meno, e si aspetta il comando del Sensei.

"Mosubi Dachi."

Non c'è respiro che possa intaccare l'inizio del silenzio e l'aumento della concentrazione che corrisponde alla posizione Mosubi Dachi. Talloni uniti, piedi aperti a 45°, mani in avanti, l'una sull'altra. I pochi secondi di attesa del comando successivo si dilatano e diventano eoni. La reale percezione della relatività del tempo.

"Mokuso!"

E' il momento di parlarti. Di raccontarti cosa hai provato, cosa hai capito, cosa hai fallito, cosa cambierai.  E, il 31 dicembre, sembra proprio questo momento.

La disamina interiore appartiene a ciascuno di noi, ed è giusto rimanga confinata dentro i nostri pensieri. Il blog, credo, non è un giusto veicolo di trasporto del nostro esperire.
Un paio di insegnamenti che ho acquisito, invece sono compatibili con le portinaie elettroniche che abbiamo a disposizione per comunicare con il mondo, anche se il mondo sembra non ascoltarci,  sempre troppo preso - guarda un po' - a comunicare.

Per alcuni saranno banalità. Per altri corrisponderanno a nulla. Per altri ancora, un motivo per non scrivere su un blog. E la maggior parte del mondo non li leggerà mai, e questo non diminuisce il valore che questi insegnamenti hanno per me.

Mai dire Mai.
Me lo ripeto da (più o meno) venticinque anni, ed ogni volta questa frase si colora di novità, rendendola sempre appetibile ed adeguata al momento corrente.
Ad Agosto 2009 un aspirante aspirante (la ripetizione è voluta) corrinuotatore che credeva di essere in forma.
A Dicembre 2009 l'ultimo degli studenti di un'arte marziale complessa, difficile, impegnativa, che sembra richiedere ben più di quello che io posso dare.
A Dicembre 2009, io, l'incomunicatore, scrivo su un blog (!) righe a metà tra l'ammirato e l'auto-beffardo raccontando quello che raccolgo dalle sessioni settimanali, e come cerco di raffigurarlo con occhi occidentali, cultura multinazionale e ironia all'amatriciana.
Mai dire Mai. Quel Mai potrebbe essere domani.

Dentro e fuori.
Il vero obiettivo, e forse quello più ambizioso ed arduo, è applicare quanto imparato nel Dojo al di fuori del Dojo. Imparare l'arte della concentrazione, guadagnare la calma, respirare correttamente, pensare alle cose importanti, amare la vita, uscir fuori dalle baruffe di tutti i giorni. Rispettare chi ne sa più di te, e rubare con gli occhi quello che può insegnarti. Aiutare i tuoi compagni, per essere aiutato. Memorizzare la pratica dei calci circolari è importante, portare i valori del Dojo nella vita quotidiana è fondamentale.
Se non riuscirò a portare il dentro in fuori, avrò fallito il mio obiettivo.

Il 2010 sarà un anno di studio, avrò molte cose da imparare.
Non è forse vero per tutti gli anni :-) ?
Auguri!

Wednesday, December 23, 2009

Xmas

Un Oi Tsuki al mare delle avversità.
Un Hiza Geri agli ostacoli che non finiscono mai.
Uno Shita Tsuki a chi non fa del bene.
Un Mawashi Geri Jodan alla cattiva sorte e a chi vuol far male alla speranza.

Ma, soprattutto, un abbraccio a tutti Voi, uno dei gruppi più belli del mondo, che ogni volta mi insegna qualcosa di nuovo.
Gabba

Tuesday, December 22, 2009

Il curioso caso di Benjamin Button.

Le analogie e le metafore rendono la vita, se non più vera, più colorata.
Si discuteva con il Sensei, nei pochi istanti di pausa, degli allenamenti e della disciplina Shinseikai, e di come le tre ore settimanali, vista la natura della disciplina stessa, fossero insufficienti.
Il dialogo:

Gabba: "Shinseikai è una disciplina che richiede ben più di tre ore a settimana."
Sensei: "Vero."
Gabba: "Ne sono convinto."
Sensei: "Vi vieto, forse, di allenarvi conto vostro? Io facevo così: quando non mi allenavo nel mio Dojo, mi allenavo per conto mio."
Gabba: "Non è la stessa cosa."
Sensei: "E qui sbagli. Ma lo capirai... Non devi avere fretta."
Gabba: "Credo di capire. Non è la stessa cosa, ma è quello che va fatto. Bisogna crescere, prima o poi."

La crescita è inevitabile. C'è un paradosso, però, nel crescere da adulti, ed è la sensazione di essere ancora un infante incastrato in un corpo che invece vira verso la vetustà. Come Benjamin Button. L'esperienza da neofita ha bisogno del maestro, il corpo da adulto ha bisogno di proseguire da solo. E bisogna seguire tutte e due le strade.

"Niente paura", mi dico, "non sono due strade, non è un bivio. La strada è la stessa, quello che cambia è che, alle volte, il maestro non c'è. E, allora, devi far da solo."

E stasera ci si allena. Con il Sensei.

Friday, December 18, 2009

Moving Target

La Senpai-Lezione di ieri mi ha fatto riflettere sul concetto di bersaglio in movimento. Colpire qualsiasi cosa (e nel nostro caso, centrare l'obiettivo) è più difficile quando il bersaglio è semovente. Il mio compagno di botte (Arduino il Bianco), alla fine di una lezione centrata sulle basi, sulle combinazioni, sui kihon, e sulla ripetizione di figure che devono necessariamente diventare parte del nostro DNA, mi ha detto una frase che è rimbalzata più volte nelle mie (molte) cavità cerebrali acquisendo, ad ogni rimbalzo, nuovo significato.
La frase riguardava l'esecuzione delle tecniche, specialmente quelle in combinazione, che dovevano essere eseguite con calma e precisione.

"Dovremmo eseguirle al rallentatore".

In quel momento ho realizzato, proprio alla fine della lezione, che il mio approccio era stato esattamente l'inverso. Ed ho pensato, come spesso mi succede nel Dojo, ad una metafora adatta ad essere scritta e raccontata su web.
Il bersaglio in movimento.
Il bersaglio è la tecnica da eseguire correttamente, in maniera pulita. Il movimento è causato da più ragioni: dalla (mia) incapacità di sfruttare la finestra temporale costituita dallo studio delle tecniche (dai 20 ai 30 minuti), dall'errata percezione che questa finestra temporale è inadeguata per ripetere i movimenti e le tecniche in maniera coerente alla loro memorizzazione, dall'ansia da prestazione, da una postura rigida. E chissà quali altre.
In particolare, sento di avere poco tempo, e ciò si tramuta in una sensazione di fretta. Esegui in fretta, così sei in grado di ripetere di più a parità di tempo.
Sbagliato.
Ripetere aiuta - i latini avevano ragione. Ripetere in fretta, però, anche con un numero maggiore di tecniche nella stessa unità di tempo, non ha aggiunto alcun valore all'immagine nella mente che dobbiamo creare per ogni movimento.
Può sembrare banale, ma non lo è, considerando che ad ogni inizio di lezione mi ripeto costantemente questi concetti, scandendoli precisamente, con la suprema intenzione di applicarli correttamente. Ripasso mentalmente, mi convinco, mi preparo, agisco.
Paff.
Non funziona. I movimenti si accavallano, diventano più confusi, si avvicina il Senpai, o l'allievo anziano, e mi illustra la mia rigidità o l'errore dovuto alla non pienezza della tecnica.

Il bersaglio in movimento.  Me ne ricorderò. Ricorderò anche che lungo il corso dell'apprendimento di questa disciplina, credo, il bersaglio sarà sempre in movimento.
Più pratico lo Shinseikai e più lo Shinseikai assomiglia molto alla vita.

Wednesday, December 16, 2009

Incredibile ma vero.

  • Il blog è un animale sincrono, che scatta al ritmo degli allenamenti e della disciplina Shinseikai. Interrotto lo studio Shinseikai, interrotto il blog. La catena degli eventi, quindi, è: influenza, no Shinseikai, no blog, no party.
  • La disciplina Shinseikai cura l'influenza ed i malesseri stagionali. Ieri sono entrato come un vecchio bacucco, e sono uscito come un giovane bastonato. Bastonato, ma giovane.
  • Le aspettative di un allenamento sono inversamente proporzionali alla riuscita dell'allenamento stesso. La modalità "Stasera Spacco Tutto" quasi sempre si trasforma nell'umore "Peggio Di Così Non Poteva Andare". La modalità "Speriamo Vada Bene" quasi sempre si trasforma nell'umore "E Anche Stasera L'Ho Sfangata". La differenza tra i due quasi sono i cazzotti del Sensei.
  • Lo studente Shinseikai, oltre a distribuire salacche terrificanti, svolge attività di ricreazione psicofisica. Abbiamo diversi musicisti rock nel gruppo, potrebbe essere possibile suonare in una Jam Session. Anzichè iniziare con "One, Two, Three, Four", scandiremo tutti gli inizi dei brani con "Ichi, Ni, San, Shi".
  • Lo studente Shinseikai, oltre a smistare manate tecnicamente impostate, svolge attività informatiche e di Social Networking. Una regola è certa: tra di noi non si fanno i poke di Facebook. Abbiamo un'etica, e i nostri poke fanno male, anche nel cyberspazio.
  • La porta dello spogliatoio maschile è composta di antimateria. Si dematerializza da sola, soprattutto quando si gira nudi in cerca di un fugace ma necessario ingresso nelle cabine della sorpresa (per i nuovi del blog, vedi il post Folklore).
  • Tra i propositi per il nuovo anno (i miei) si distingue il desiderio di riuscire a completare un riscaldamento Shinseikai senza fermarmi, senza visioni di Santi vestiti di Karategi e con abbastanza forze per rispondere adeguatamente durante lo studio delle tecniche. Spero ardentemente che questo nuovo anno sia il 2010.
E, nel frattempo, OSU!

Saturday, December 5, 2009

Folklore II




Mentre il 2009, oramai ridotto ad un arzillo vecchietto, sta correndo verso il traguardo SanSilvestrino per "portar lo testimonio" al 2010 (chiedo scusa, Dante dà dipendenza), siamo già circondati da pubblicità che ti ricordano del Natale di regalare di non preoccuparti di anestetizzarti di rimandare i problemi al prossimo anno di dormire di iniettarti dosi sempre più massicce di TV a pagamento per sollazzare la tua voglia di divano lasciandoti, certamente, più povero di prima. In tutti i sensi. 

Invischiati tra questo pattume multimediale, che non risparmia (ahinoi) anche la Rete e canali di comunicazione meno mesmerizzanti della TV, ci accorgiamo che il Dojo è un santuario, un rifugio che permette di prendere le distanze da spazio e tempo (rispettivamente, Roma - Italia e Dicembre 2009) e di rivolgere la nostra completa attenzione su cosa dobbiamo migliorare, anzichè cosa dobbiamo comprare. Le mie parole, povere e inadeguatamente vergate su di un blog nero e anonimo (e quindi molto allineato al suo padrone), non riescono a spiegare bene cosa si prova in quei secondi post-lezione dove siamo invitati a pensare alle aree di miglioramento e di crescita interiore, oltre che sportiva. Quello che so, però, è che non mi è mai capitato di lasciare quei secondi vuoti, come credo non sia mai capitato a nessuno. 

Oltre al Dojo, però, ci sono altri valori che non cambiano. Che restano lì, immobili, immutati, invecchiati come un buon vino d'annata, come un brano di musica classica che con gli anni aumenta la sorpresa di chi ascolta. Come, ad esempio, lo Spogliatoio.

Lo Spogliatoio e la Smemorina.

Un argomento già affrontato in uno dei post precedenti, concernente lo Spogliatoio, è la presenza inquietante di artefatti semiorganici che farebbero felici interi reparti della Polizia Scientifica: scarpe, magliette, felpe, fasce, calzini e indumenti sportivi non identificabili neanche con accurate analisi al Carbonio-14. 
La presenza è inquietante per l'assenza dei proprietari.
Ho elaborato una teoria, autoctona, ma supportata da studi internazionali e finanziata dal Gas Technology Institute (http://www.gastechnology.org/) che riguarda l'argomento.
Gli innumerevoli allenamenti Shinseikai, uniti a quelli di altre discipline (Boxe), hanno prodotto - nel tempo - vapori letali nell'area corrispondente allo spogliatoio maschile che rimangono residenti ed attaccano direttamente i centri della memoria. Tali vapori hanno l'infausto effetto di lasciare i malcapitati avventori incapaci di intendere e volere e, soprattutto, di ricordare il prelievo di indumenti sudati ed accessori (sudati anch'essi). L'enzima contenuto in questi vapori è stato battezzato Smemorina, ed è particolarmente aggressivo: basta un allenamento, e oplà, la Smemorina esegue il suo diabolico compito, facendo scordare di tutto, di più.
A giorni dovrebbe arrivare il referto del GTI (vedi sopra) in grado di dare indicazioni precise sulla produzione di un antidoto.

Armadietti e Salto Quantico.

Lo studente Shinseikai dotato di portafoglio, chiavi e cellulare al seguito può sperimentare l'essenza del Salto Quantico cercando di porre i propri effetti personali nei microarmadietti posti fuori lo spogliatoio. Ho utilizzato il termine cercare in quanto i vapori letali descritti nel punto precedente hanno cambiato il funzionamento degli armadietti rendendolo non euclideo e indipendente dalle quattro dimensioni conosciute.
L'apertura dei locker non è omogenea: scegliendo sempre lo stesso armadietto (ad esempio, il 18), si aprirà correttamente solo di giovedì, con tempo sereno e prima del solstizio di inverno. Qualsiasi variazione di questa combinazione causa la chiusura ermetica o il funzionamento non corretto dell'armadietto, rendendolo inservibile.
A volte, gli armadietti scambiano proditoriamente i loro contenuti lasciando interdetti i proprietari degli oggetti ivi contenuti: il contenuto del 16 va nel 21 e quello del 21 va nel 4 che è chiuso da sei anni.
Ricordo bene che una volta Ivano il Giallo mi chiese di condividere uno degli armadietti, apparentemente innocuo, unendo i nostri averi. Aprendolo alla fine della lezione, trovammo una tessera della P2, un barattolo di marmellata scaduta e una figurina di Facchetti.

La Via Crucis.

Prima dello Spogliatoio spraybiotico e degli armadietti sudoku, il Dojo si contraddistingue per il grande spazio, il ring, la zona sacchi e soprattutto per le pareti costellati di immagini di combattenti, pugili, campioni e bipedi dotati di coraggio, quasi sempre con guantoni e l'aria di chi ne date (e prese) proprio tante: è la Via Crucis. Da Mohammad Ali fino ai campioni locali, ci sono tutti. Alle volte ho come l'impressione che si divertano a guardarci. Chissà cosa si dicono quando la palestra è vuota.

Martedì prossimo non c'è lezione.
Che tristezza.

Wednesday, December 2, 2009

La macula cieca.



Martedì sera. Finalmente.
La schiena non fa male, inizio a riprendere il ritmo durante le mie sessioni di nuoto, i tempi ritornano verso la normalità. Mi sento in forma.
Arrivo addirittura prima, per rubare immagini in movimento durante la sessione degli agonisti.
Mi chiedo cosa imparerò oggi. Tecniche? Combinazioni? Suggerimenti da parte degli allievi anziani? Colpi, e come assorbirli?
Passano i minuti. Il Dojo si anima.
E' sempre piacevole incontrare gli studenti nei pochi minuti di pausa tra gli allenamenti. Poche parole, in genere a bassa voce, e qualche sorriso che non fa mai male.
La quiete prima della tempesta.

"Yame."


Il Sensei chiama, ci si mette in posizione immobile. Fudo dachi.
Un cenno del capo dal Sensei al Senpai è come un'invisibile - ma percepibile - onda elettromagnetica, che tra poco ci ritornerà moltiplicata in potenza.
Inizia il riscaldamento, un treno che lascia la stazione ed inizia il suo viaggio, aumentando progressivamente la velocità. Una sorpresa per i miei tegumenti, come sempre.
Il cuore inizia a battere più forte, mentre il corpo inizia a ribellarsi per poi adeguarsi ai movimenti che iniziano regolari-scanditi e finiscono rapidi-insopportabili.

Il sudore mi gocciola sul naso, batte sul pavimento del Dojo. Mi stupisco di come sia lenta la traiettoria di una gocciolina dal mio corpo all'ostacolo rappresentato dalla superficie. Ma è solo un'impressione. Evidentemente i miei sensi sono alterati.
Il riscaldamento sembra finire, ma continua. Il limite è sempre un po' distante da come te lo aspetti. E continua. Oramai le goccioline in terra sono molte, e quando ho deciso di contarle il Maestro chiama la fine del riscaldamento.

"Yame!"

E' il momento delle tecniche. Sono in uno degli angoli del Dojo, vicino ad un sacco.
I comandi impartiti dal Sensei sono chiari. Dobbiamo utilizzare tecniche in combinazione, con difficoltà crescente, per capire, sfruttare ed eseguire i movimenti attraverso le catene cinetiche.
Le istruzioni vengono poi visualmente dipinte dal Sensei attraverso l'azione, più e più volte, anche per mezzo del loro opposto: devo eseguire ABC in sequenza stretta, che non è corrispondente ad A, B, C oppure AB, C oppure altro.
Le tecniche vengono poi contestualizzate, e quindi, oltre al come, è spiegato il perchè.
Credo di aver capito, l'immagine nella mente è buona, e cerco di tatuare sul nervo ottico i movimenti, le combinazioni ed il contesto che è stato appena illustrato.
ABC.
Ricordo bene gli errori delle lezioni precedenti, e quindi non cerco di imprimere potenza alle tecniche, dedicandomi solo alla correttezza del colpo.
ABC. Lo posso fare.

Eseguo.
Il corpo non esegue correttamente.
Riprovo.
Il corpo non esegue correttamente.
Riprovo.
Il corpo non esegue correttamente.
(Rifletto. I movimenti del Sensei, nella mia mente, sono più appannati.) Riprovo.
Il corpo non esegue correttamente.
Riprovo.
Il corpo non esegue correttamente.
Riprovo.
(Succede quello che non dovrebbe: inizio ad irritarmi.) Riprovo.
Il corpo non esegue correttamente.
Riprovo.
Il corpo non esegue correttamente.
(Rifletto. Non sono più sicuro che i movimenti che ho registrato siano corretti.) Riprovo.
Il corpo non esegue correttamente.

"Yame!"
Il Sensei chiama lo stop.

Mentre l'ingiustificata ed inutile irritazione continua a solleticare il mio archipallium, penso alla macula cieca. Cerco di avvicinarmi all'obiettivo, e l'obiettivo sparisce. Mi allontano, e magicamente riappare. Mi avvicino nuovamente, e l'obiettivo non è dove dovrebbe essere.
La macula cieca. Una buona metafora. L'obiettivo è sempre lì, ma cambia la nostra percezione su di esso. Conoscere la nostra macula cieca è uno dei passi necessari per raggiungere il nostro obiettivo, anche se, temporaneamente, lo sposta verso l'infinito, rendendolo irraggiungibile.
Me ne ricorderò Giovedì :-).

P.S. Una buona rappresentazione della macula cieca e come sperimentarla praticamente è in questo sito.